Il dolore e la malattia

Questa mattina una persona ha preso la medicina che –lo sa per esperienza– le fa superare per il momento le sue crisi. Ha fatto bene? Ha fatto cosa gradita al Signore? Un altro ha potuto, grazie a Dio, mangiare con gusto qualcosa di suo gradimento. Ha forse peccato di gola? Ha fatto la Volontà del Signore?

Potremmo aggiungere un lungo eccetera di situazioni umane, sulle quali si possono fare le stesse domande.

La Verità ci farà liberi, ha detto il Signore. E allora, “sia fatta la Luce”. Certo, la sofferenza, sotto ogni aspetto, spirituale e materiale, invade il mondo, accompagna tutta la nostra vita fino alla morte. Invece tutto il nostro essere tende al bene, in tutti i modi cerca di essere felice. Non siamo fatti per soffrire, è più che evidente. Vivere e soffrire sono in totale contraddizione, morte e vita si rifiutano a vicenda. Per questo la vita si vive come una fuga continua da tutto ciò che causa dolore, che noi identifichiamo semplicemente con il male. Ma sono forse la stessa cosa il dolore e il male?

Quanti hanno un minimo di fede, un embrione di fede, si rivolgono a Dio o al Cielo invocando aiuto e liberazione. Nel nostro tempo, quando la medicina o altri mezzi umani non risolvono il problema, il rimedio si cerca guardando un po’ più su: un pellegrinaggio oppure un incontro di preghiera “carismatica”, le Messe cosiddette di “liberazione” dal male o di guarigione. Servono o non servono? Sono un bene o un male? Sono cose gradite a Dio o non tanto?

Aggiungiamo ancora: nel nostro desiderio di chiarezza possiamo dimenticare che in questo mondo ci sono infinite cose che noi non comprendiamo del tutto, che hanno molti aspetti che ignoriamo e che soltanto Dio conosce; perciò non dobbiamo avere l’arroganza di concludere che “se non è bianco, come lo intendo io, è nero” o viceversa, che se non è il massimo del bene allora è da rifiutare o, peggio ancora, da condannare, giudicando o biasimando chi non ci arriva a tanto.

Ricordo la lettera apostolica “Salvifici doloris”, di San Giovanni Paolo II, e vado a darle un’occhiata. Già l’introduzione che fa è luminosa:

Dice che scoprire il senso del dolore o della sofferenza fa gioire. Cominciare a comprenderlo è tanto prezioso per la salvezza. La sofferenza appare inseparabile dall’uomo: sembra essenziale alla natura umana, perché a modo suo fa vedere la profondità dell’uomo, il suo nulla, e lo chiama a “superare” se stesso. Il che è possibile soltanto grazie alla Redenzione, mediante la sofferenza di Cristo, con la Croce. Per questo, la Chiesa incontra l’uomo specialmente sulla via della sofferenza, che l’uomo deve percorrere. Quando questo avviene, dice, la sofferenza diventa la via della Chiesa.

Direi che è il luogo privilegiato dell’appuntamento con Dio. È un mistero che desta compassione, rispetto e timore. Si tratta, in fondo, del mistero dell’uomo. Il cuore ha bisogno di vincere il timore e la fede comanda di comprendere la verità del problema del dolore.

Nell’Antico Testamento (libro del Siracide, 38) leggiamo questa Parola di Dio:

“Onora il medico come si deve secondo il bisogno, anch’egli è stato creato dal Signore. Dall’Altissimo viene la guarigione, anche dal re egli riceve doni. La scienza del medico lo fa procedere a testa alta, egli è ammirato anche tra i grandi. Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza. L’acqua non fu forse resa dolce per mezzo di un legno, per rendere evidente la potenza di lui? Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse il medico cura ed elimina il dolore e il farmacista prepara le miscele. Non verranno meno le sue opere! Da lui proviene il benessere sulla terra. Figlio, non avvilirti nella malattia, ma
prega il Signore ed Egli ti guarirà.
Purìficati, lavati le mani; monda il cuore da ogni peccato.
Offri incenso e un memoriale di fior di farina.
e sacrifici pingui secondo le tue possibilità.
Fa’ poi passare il medico –il Signore ha creato anche lui– non stia lontano da te, poiché ne hai bisogno. Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani. Anch’essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita. Ma chi pecca contro il proprio Creatore cada nelle mani del medico”.

Qui il Signore ci sta dicendo che la causa della sofferenza (della malattia in questo caso) è il peccato, ma anche quella degli innocenti: “Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio»” (Gv. 9,1-3)

Gesù non è venuto per abrogare l’Antico Testamento, ma per darne perfetto compimento. Ci dice di non disprezzare la medicina né il medico, perché tante volte il Signore si serve di questi mezzi umani per alleviare la malattia e risanarla, pur essendo sempre Lui che dà la guarigione, per la quale vuole il Signore che preghiamo. Ed indica le cose da fare in caso di malattia, in quest’ordine:

1°, pregare il Signore; 2°, fare una buona confessione; 3°, far celebrare una Messa a questo scopo; 4°, compiere atti di carità “secondo le proprie possibilità”, e infine, 5°, ricorrere al medico.

Certo, sbaglia chi fa soltanto l’ultima di queste cose, tralasciando le prime quattro. E il medico deve saper fare il medico, ma deve attingere anche lui dal Signore la grazia di “alleviare la malattia e risanare”, perché in fin dei conti la guarigione viene da Dio. Alla sua scienza ed esperienza umana si deve aggiungere l’intervento di Dio, chiedendolo ogni volta, sia il medico che il malato. Ma questa preghiera deve essere semplice, umile e fiduciosa, senza dire a Dio ciò che “deve” fare, ma confidando che Dio farà per noi quello che la sua Sapienza ed il suo Amore, la sua Bontà e la sua Provvidenza dispongono come la cosa migliore.

Questa prima cosa da fare, pregare con preghiera di petizione o d’intercessione, richiede un esame più approfondito, ma prima di passare ad esso ci conviene vedere il comportamento della Serva di Dio Luisa Piccarreta e l’insegnamento che per mezzo suo ci dà il Signore. Dice Luisa:

Dopo gli raccomandai un infermo e Gesù mi mostrava le sue piaghe, fattegli da quell’infermo. Ed io ho cercato di pregarlo, placarlo e ripararlo, e pareva che quelle piaghe si saldassero. E Gesù, tutto benignità, mi ha detto: “Figlia mia, tu oggi mi hai fatto l’ufficio di un peritassimo medico, ché non solo hai cercato di medicare, di fasciare, ma anche di guarire le mie piaghe fattemi da quell’infermo; perciò mi sento molto ristorato e placato”. Onde ho compreso che, pregando per gli infermi, si viene a fare l’ufficio di medico a Nostro Signore, che soffre nelle stesse sue immagini. (Volume 2°, 3-10-1899).

È Gesù che soffre nel malato, in questo caso, per colpa del malato stesso. E dato che l’origine della malattia corporale si trova nella sfera spirituale, è lì, con mezzi spirituali, che Luisa fa da medico a N. Signore, “che soffre nelle sue stesse immagini”, nelle sue stesse membra.

Il Signore non è un estraneo nelle varie vicende della vita, soprattutto per il vincolo che ogni essere umano ha con Lui fin dalla sua Incarnazione, in modo tale che ogni cosa, anche la più “intrascendente” secondo noi, si ripercuote in Lui e la sente come sua. Per questo è importantissimo il motivo che muove la nostra intenzione nella nostra preghiera d’intercessione. Si vede chiarissimo in questo capitolo di Luisa:

Trovandomi nel solito mio stato, stavo pregando per certi bisogni del prossimo e il benedetto Gesù, movendosi nel mio interno, mi ha detto: “Per quale fine preghi per queste persone?” Ed io: “Signore, e Tu per quale fine ci amasti?” E Lui: “Vi amo perché siete cosa mia stessa, e quando l’oggetto è proprio, [ci] si sente costretti e come una necessità ad amarlo”. Ed io: “Signore, sto pregando per queste persone perché sono cosa tua, altrimenti non mi sarei interessata”. E Lui, mettendomi la mano alla fronte, quasi premendola, ha soggiunto: “Ah, così è, perché cosa mia? Così va bene l’amore del prossimo”.

Per avere le idee chiare, precisiamo questi concetti:

  • Nell’ordine primordiale della Creazione non c’era nessun male, tutto era buono (cfr. Genesi 1, Sapienza 1,14; 2,24)
  • Il male è “un vuoto” di bene, una privazione e perdita di un bene.
  • Perciò non è esatto dire che il male “esiste”, ma che “accade”, perché il male unico è di indole morale e spirituale: è il peccato. Gli altri mali sono “mali”, non perché fanno soffrire, ma perché sono “disordini”, sono effetti e conseguenze del peccato e per tanto non sono secondo la Volontà di Dio.
  • Il peccato è negare Dio per affermarsi la creatura, è negare la Volontà di Dio per affermare il proprio volere umano. È un “vuoto” di Dio in noi, in quanto Amore e Vita. È “annientamento” di Dio nel senso di privarlo della sua creatura. È la più grande ingiustizia. È uscire dalla verità e dalla realtà cercando un’illusione. È distruggere ogni gaudio e felicità. È uscire dall’ordine (e perciò è causa di ogni altro disordine), dal proprio posto e dallo scopo per cui Dio ci ha creato.
  • Il dolore, ogni dolore, fino alla morte, è causato dal peccato, dal vero male. Non è colpa di Dio, ma del peccato.
  • Il dolore unito al pentimento, alla conversione, all’accettazione della Volontà di Dio conduce alla salvezza.
  • Il dolore unito alla Volontà di Dio, al suo stesso Amore, porta alla santità.
  • Il dolore è stato assunto da Gesù Cristo nella sua Incarnazione. Il dolore non è stato ancora annientato, ma è stato redento e santificato da Lui. Non è stato il dolore e la croce ad aver santificato Cristo, ma è Lui che ha santificato il dolore e la croce. In Cristo il dolore, da essere un male, è diventato il rimedio.
  • Dio “vorrebbe” risparmiarci il dolore, un giorno lo eliminerà, ma non prima che abbia ottenuto il suo scopo: svuotare la creatura di se stessa, del suo peccato. Perciò la creatura deve passare necessariamente attraverso la croce, attraverso “il sacramento del dolore”, e se lo accetta, allora quel vuoto o mancanza di bene Dio lo riempie di Sé.
  • Il dolore (la morte) è frutto del peccato (il male), ma è stato liberamente voluto dal Padre e dal Figlio al centro del loro infinito eroismo d’eterno Amore, al centro del loro Decreto, al centro del mistero dell’Incarnazione del Verbo.

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