La preghiera di petizione: la Misericordia e la Giustizia determinano due atteggiamenti religiosi, due tipi di preghiera

La Misericordia e la Giustizia, questi due Attributi divini, sono sempre e solo Amore di Dio e rappresentano rispettivamente l’Umanità SS. di Gesù e la sua Divinità, per cui sono inseparabili, come lo sono le due Nature del Verbo Incarnato. Formano come un binomio, come le due facce di una stessa medaglia (la Divina Volontà), e sono quelli che regolano i rapporti tra Dio è l’uomo: la Divina Misericordia è a difesa dell’uomo, la Divina Giustizia è a difesa di Dio.

Il Signore disse nell’ultima Cena: “Quando sarà venuto il Consolatore, Egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla Giustizia e al Giudizio…” (Gv 16, 8) Il peccato è il disordine che rompe l’armonia tra la Volontà Divina e la volontà umana; esso è ingiustizia e aggressione, che si scontra con la Divina Giustizia, e tale scontro forma il Giudizio. Ma il Giudizio si evita solo facendo ricorso alla Divina Misericordia.

Si deve però “soddisfare ogni giustizia”, come disse il Signore a San Giovanni il Battista, per permettere il passo alla misericordia. La Divina Misericordia passa verso la creatura sul ponte riparato della Divina Giustizia, ponte che viene distrutto dal peccato.

L’Opera della REDENZIONE è manifestazione e glorificazione della Divina Misericordia. L’Opera della SANTIFICAZIONE è invece manifestazione e glorificazione della Divina Giustizia, che “giustifica” (cioè, rende giusto) l’uomo con la Giustizia o Santità di Dio. È il traguardo: “Cercate il Regno di Dio e la sua Giustizia, e tutto il resto ci sarà dato in più”.

Il Signore Dio disse a Mosè: “Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia” (Es 33,19). Essere Giusto per Dio è un “dovere” (non potrebbe essere ingiusto), essere Misericordioso è un suo “diritto”, al quale Egli ci tiene.

Questi due attributi, Misericordia e Giustizia, che caratterizzano rispettivamente l’opera della REDENZIONE e il REGNO DELLA VOLONTÀ DIVINA, caratterizzano anche i vari atteggiamenti spirituali dell’uomo nei suoi rapporti con Dio:

il servo –e anche il figlio minorenne, che ha ancora mentalità di servo, essendo “come uno schiavo, pur essendo padrone di tutto” (Gal 4,1)– devono bussare alla porta della Divina Misericordia per ottenere. Da qui le esortazioni di Gesù a domandare (“Cercate e troverete, chiedete e riceverete, bussate e vi sarà aperto”, “Tutto ciò che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo darà”, ecc.). Mentalità che si vede dalle “intenzioni” che si mettono, nelle petizioni che si fanno, ecc., dal momento che “lex orandi, lex credendi” (cioè, il modo di pregare dice qual è la fede). È il “figlio prodigo” in cammino di ritorno verso la Casa del Padre.

Invece, il figlio che vive ormai nella Casa paterna, nella Volontà del Padre, non sente alcun bisogno di chiedere nulla per sé, perché sente tutto suo. “Una sola cosa gli sta a cuore, la Divina Volontà e l’Amore”, dice Gesù alla sua piccola Figlia, Luisa Piccarreta. Non ha cose proprie, ma tutto in comune con il Padre, per cui solo cerca “il Regno di Dio –per tutti– e la sua Giustiziao Santità. Non si interessa più di sé (vive in un perfetto abbandono fiducioso), ma s’interessa di ciò che sta a cuore a Dio, il suo Regno e la sua Gloria, e di ciò che giova al prossimo e lo può unire di più a Dio.

In altre parole, chi sta ancora fuori della Casa deve bussare, chi invece è dentro non ha bisogno. Per questo, dice il Signore, nel paradiso terrestre, nei rapporti tra Adamo innocente e Dio c’era da parte dell’uomo l’adorazione, la lode, il ringraziamento e l’amore, ma non c’era la supplica o la preghiera di petizione. Quella è nata dopo il peccato, dopo la rottura dell’unione con Dio, quando l’uomo si è sentito bisognoso di tutto, bisognoso di Misericordia da parte di Dio:

“…Oh, se le creature potessero comprendere il gran male della volontà umana ed il gran bene della Mia, aborrirebbero tanto la loro, che metterebbero la vita per fare la Mia! La volontà umana rende schiavo l’uomo, gli fa avere bisogno di tutto; [esso si] sente continuamente mancare la forza, la luce; la sua esistenza è sempre in pericolo, e ciò che ottiene è a via di preghiere e stentatamente. Sicché il vero mendicante è l’uomo che vive di volontà sua.

Invece, chi vive della Mia non ha bisogno di nulla, tiene tutto a sua disposizione. La mia Volontà gli dà il dominio di se stesso e quindi è padrone della forza, della luce; ma non della forza e della luce umana, ma della Divina. La sua esistenza è sempre al sicuro, ed essendo padrone, può prendere ciò che vuole, né ha bisogno di chiedere per avere. Tanto è vero che, prima di sottrarsi Adamo dalla mia Volontà, la preghiera[1] non esisteva; il bisogno fa nascere la preghiera. Se di nulla aveva bisogno, non aveva né da chiedere né da impetrare. Sicché lui amava, lodava, adorava il suo Creatore; la preghiera non ebbe luogo nell’Eden terrestre. La preghiera venne, ebbe vita dopo il peccato, come bisogno estremo del cuore dell’uomo. Chi prega, significa che ha bisogno, e siccome spera, prega per ottenere. Invece, chi vive nella mia Volontà vive nell’opulenza dei beni del suo Creatore, [vive] da padrone, e se bisogno o desiderio sente, vedendosi in tanti beni, è quello di voler dare agli altri la sua felicità e i beni della sua grande fortuna: vera immagine del suo Creatore, che gli ha dato tanto, senza restrizione alcuna; vorrebbe imitarlo, col dare agli altri ciò che possiede.” (Volume 20°, 16.11.1926)

Negli Scritti di Luisa troviamo molti insegnamenti sulla preghiera, sia di adorazione, di benedizione, di ringraziamento, di riparazione o di amore, sia d’intercessione e di petizione. Per esempio, la preghiera che Gesù rivolge al Padre nel cuore di Luisa:

“Gesù mi ha fatto sentire che pregava il Padre per me, dicendo: «Padre Santo, ti prego per quest’anima, fa’ che adempia in tutto perfettamente la nostra SS. Volontà. Fa’, o Padre adorabile, che le sue azioni siano tanto conformate con le mie, in modo tale da non potersi discernere le une dalle altre e così poter compiere su di essa ciò che ho disegnato».” (Vol. 2°, 18.08.1899).

Pregare per gli infermi è fare da medico a Nostro Signore (Vol. 2°, 03.10.1899). E se si prega per il prossimo, deve essere perché appartiene a Dio:

 “Trovandomi nel solito mio stato, stavo pregando per certi bisogni del pros-simo e il benedetto Gesù, movendosi nel mio interno, mi ha detto: «Per quale fine preghi per queste persone?» Ed io: «Signore, e Tu per quale fine ci amasti?» E Lui: «Vi amo perché siete cosa mia stessa, e quando l’oggetto è proprio, [ci] si sente costretti e come una necessità ad amarlo». Ed io: «Signore, sto pregando per queste persone perché sono cosa tua, altrimenti non mi sarei interessata». E Lui, mettendomi la mano alla fronte, quasi premendola, ha soggiunto: «Ah, così è, perché cosa mia? Così va bene l’amore del prossimo». (Vol. 2°, 8.11.1903).  

Gesù le spiega perché molte volte gli uomini chiedono e non ottengono, perché Dio accoglie solo quello che da Lui è uscito:   

“Tutto ciò che esce da Me entra in Me. Ecco perché gli uomini si lamentano che non ottengono così facilmente quello che mi domandano, perché non sono cose che escono da Me e, non essendo cose che escono da Me, non possono così facilmente entrare in Me e uscire poi per darsi a loro, perché esce da Me ed entra in Me tutto ciò che è santo, puro e celeste. Ora, quale meraviglia se viene loro chiusa l’udienza, se le cose che domandano non sono tali? Ecco, perciò tieni tu bene a mente, che tutto ciò che esce   da Dio entra in Dio”

Chi può dire ciò che comprendevo su queste due parole? Ma non ho parole per sapermi spiegare. Ah, Signore, dammi la grazia che possa domandare tutto ciò che è santo e che sia desiderio e volontà tua, così potrai comunicarti con me più abbondantemente.” (Vol. 3°, 09.08.1900). 

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[1] Preghiera intesa come petizione o supplica.

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