Il nostro rapporto con Dio

È evidente che la nostra vita non ce la siamo data noi e che la nostra esistenza non dipende da noi. “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7). Non c’è nulla in noi che non abbiamo ricevuto e che riceviamo, istante per istante, da Dio. Non siamo padroni, ma “amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele” (1 Cor 4,1-2).

Tutto ciò che Dio ci dà è il suo Amore in forma di dono: il corpo e l’anima, le nostre faccoltà, i nostri sensi, le nostre membra, ogni pensiero, ogni palpito, ogni respiro…, per non dire poi di tutto il Creato: “tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3,22-23), “dono di Lui e del suo immenso Amor”. Dalla testa ai piedi, l’elenco sarebbe senza limiti. Giustizia vuole che ne prendiamo atto e che a questo “diluvio” d’Amore Divino rispondiamo con un ringraziamento e una risposta d’amore per ogni cosa.

Ma cosa può dire lo specchietto al Sole? “Ti amo”…

Ci ha creati a Sua immagine: ispirandosi a come è Lui, Dio. Prendendo come Modello Se stesso e il suo Verbo Incarnato, facendolo il Prototipo, “poiché quelli che Egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché Egli sia il Primogenito tra molti fratelli” (Rom 8,29).

Le nostre faccoltà spirituali –volontà, intelletto, memoria– sono dono specifico delle Tre Divine Persone, affinché con questa “trifasica” entriamo in comunione di vita con Loro.

L’immagine divina creata la portiamo nella nostra natura umana, nell’essere che abbiamo ricevuto, ma la somiglianza con Dio dobbiamo averla nel nostro vivere, in quello che dobbiamo diventare.

Opera della sua Grazia e della nostra corrispondenza alla Grazia. Opera umano-divina. Insieme a Dio dobbiamo essere “co-creatori” di noi stessi. Ognuno diventa quello che vuole diventare, in bene o in male.

Poiché, a differenza di tutti gli altri esseri viventi creati da Dio –dotati anch’essi di una certa intelligenza e memoria– noi abbiamo una cosa che ci rende responsabili, come lo è Dio: cioè, una volontà dotata di libero arbitrio, in grado di rispondere in modo meritevole all’Amore. Questa nostra volontà è in noi la sorgente di ogni nostra decisione ed intenzione. È quello che di solito chiamiamo “il cuore”. E mentre Dio può riprendersi ogni cosa che ci ha dato –il vedere, il parlare, il respirare, ecc.– senza chiederci permesso, non potrà mai avere il nostro “cuore”, la nostra libera volontà, la nostra risposta d’amore, il nostro “sì”, se noi non vogliamo. L’uomo può interrompere, addirittura può rifiutare per sempre il suo rapporto con Dio.

Questo rapporto parte da quello che Dio ci dà, in primo luogo l’esistenza. Parte da una sua eterna iniziativa. Un amore totalmente gratuito. Ma è di giustizia che sia ricambiato. Un amore negato è odio; un amore dato ma non ricambiato diventa dolore.

E quando Dio ci dà, è logico che poi ci chieda, perché desidera che diventiamo come Lui, a sua somiglianza, nella quale dobbiamo crescere senza misura: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Quando Dio ci dà, poi ci chiede. E quando ci chiede è per poterci dare molto di più, perché vuole che gareggiamo con Lui in amore (come avviene tra il Padre, l’Amante, e il Figlio, l’Amato) e nella “gara” dell’Amore Dio non si lascia vincere.

C’è qualche cosa che il Signore potrebbe chiedermi, che io non vorrei dargli? Cioè che Gli rifiuterei? Questo semplice esame di coscienza è in grado di scoprire se davvero vogliamo essere figli suoi o no.

Ma non dimentichiamo alcune cose: che Dio non tiene conto di quello che sentiamo (che non dipende da noi), ma di quello che vogliamo; che mai ci chiederà Dio cose impossibili o che non ci abbia dato; che “ci basta la sua Grazia” (1 Cor 12,9), e che “Dio è fedele e non permetterà che siamo tentati oltre le nostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza per superarla” (1 Cor 10,13).

Fino a quando ci chiede cose che non ci costa niente dargliele, per noi è facile, ma non si cresce ancora nell’amore. In fondo, ciò che ci chiede è di rinunciare a noi stessi. Perché Dio non cerca le nostre cose (che Egli stesso ci dà), ma il nostro “cuore”, il nostro . Ci chiede la nostra volontà per poter darci la Sua!

Come il Patriarca Abramo, ognuno di noi ha nel cuore qualche cosa o qualche “Isacco” beneamato –dono di Dio–, e prima o poi Dio ci chiede di sacrificarlo a Lui. Facciamo come Abramo: quel giorno non fu versato il sangue del ragazzo, ma pronunciando il suo “Fiat” nel profondo del cuore, sacrificò se stesso come padre, per affermare il diritto e la Paternità del Padre Divino…, il quale non si lascia vincere e, a quel punto, Dio gli disse:

“Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, Io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare… Saranno benedette per la tua Discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce” (Gen 22,16-18). In altre parole: “Tu mi hai dato il tuo figlio ed Io ti cedo il mio posto di Padre: mio Figlio sarà il tuo Figlio (la tua Discendenza)”.

Dio non si lascia vincere in amore. Se nella gara d’amore Gli permettiamo di vincere, vinciamo noi con Lui, ma se vogliamo vincere noi da soli, perdiamo noi. E quale perdita! Questo è il nostro RAPPORTO CON DIO.

Adesso si compie il Giudizio

In che consiste il Giudizio? Nell’esaminare e quindi separare ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che è bene da ciò che è male, ciò che è conforme alla Volontà di Dio da ciò che non lo è. In ultima analisi è vedere se amiamo di più la Verità o invece il nostro “io”. In questo consiste la prova della vita.

“Sarà l’Amore di Dio portato fino al disprezzo di sé, o sarà l’amore di sé portato fino al disprezzo di Dio” (S. Giovanni Paolo II). Chi è il tuo Dio?

Alla fine della storia, il Giudizio finale lo farà il Signore e “non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato” (Mt 10,26). Ma per adesso, momento per momento, il Giudizio sulla nostra vita lo facciamo noi stessi in ogni nostra decisione.

Teniamo presente che non esiste nulla che non contenga una finalità, un motivo di esistere. Tutte le cose fatte da Dio sono a motivo del suo Amore per noi e hanno come finalità condurci ad una piena comunione di Vita e di Amore con Lui. Quindi, il valore di tutto ciò che esiste e di tutto ciò che accade lo dà la finalità che si propone chi lo fa. Per questo, “sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1 Cor 10,31).

Così, se la finalità di quello che noi facciamo non converge, non sintonizza con la finalità di Dio, quello che noi facciamo si risolve in pura perdita. “Chi non è con Me è contro di Me, e chi non raccoglie con Me, disperde” (Mt 12,30). Dovremmo chiederci sempre in ogni cosa che facciamo: perché lo faccio? O meglio: per Chi lo faccio?

Tutta l’arte della vita si potrebbe riassumere in questo: saper ricevere tutto da Dio e quindi mettere tutto in mano a Dio. Ogni cosa, in ogni istante. Le situazioni in cui mi trovo, le cose che mi succedono, le notizie che mi arrivano, le cose gradevoli o sgradevoli che mi fanno…, che Dio non permetterebbe se non fossero per il mio bene, per una finalità di bene, per un frutto buono che dovrebbero produrre (se ci sto “al gioco”). E le permette “in tanto in quanto” possono essermi di aiuto, farmi del bene in vista della finalità ultima.

Se mi arriva una lettera, non importa se il postino sia simpatico o antipatico: l’importante è il messaggio e Chi me lo invia… Così tante cose possono arrivarmi attraverso le cause secondarie, attraverso le creature, che spesso non sanno di che si tratta; ma io devo riconoscere che vengono da Dio. E che Dio attende una mia risposta. Questo è il mio RAPPORTO CON DIO!

Perché ognuno di noi è unico davanti a Dio. Se un padre ha dieci figli, ogni figlio è “unico” per lui. Per questo, ognuno di noi è venuto al mondo “solo”, e “solo” se ne andrà. Quando arriverà l’ora, anche se attorno a noi avessimo cinquecento cari amici che ci vogliono un mar di bene, niente potranno fare per noi: saremo soli. O meglio: saremo soli con Dio. E se questo è evidente nell’inizio e nel finale della vita, è ugualmente vero tutti gli altri giorni. Alla fine della giornata, quando cala il sipario e si spengono le luci del teatrino della vita, in questo grande teatro vuoto restiamo soltanto in due: mio Padre del Cielo ed io. E in quel momento, posso immaginarlo, seduto accanto a me, che mi abbraccia e mi dice: “allora, figlio mio, che abbiamo fatto oggi di buono?”… E tutti gli altri? Non ci sono. O meglio, sono le comparse, sono le occasioni di Dio, sono i canali dei quali si serve per farmi arrivare normalmente la sua Provvidenza, le sue Notizie, il suo Amore… e attraverso i quali desidera che io Gli dia la mia risposta di gratitudine e di amore. Questo è il compito e il significato delle creature e del mio prossimo.

Il mio prossimo… Così prossimo, che dall’eternità il Padre ha guardato Gesù e, nella sua Umanità, ha visto l’intera umanità e l’intera Creazione. Quindi ha conosciuto e amato me in quanto membro della sua Famiglia, del suo Corpo Mistico, non indipendentemente dal Capo e da tutte le altre membra del Corpo.

Perché è vera la prima dimensione “personale” dell’uomo: che ognuno e unico e solo davanti a Dio (infatti, se io mangio, non è che un altro fa la digestione…), ma è anche vera questa seconda dimensione: la dimensione “sociale”, per la quale ciò che sono io mi arriva quasi tutto attraverso gli altri, e quello che io faccio ha delle conseguenze in bene o in male per gli altri. Il mio rapporto con Dio ha queste due dimensioni: di esso fa parte il mio prossimo e persino tutto il resto del Creato.

Tra il Corpo fisico, “personale” di Cristo ed il suo Corpo “mistico” (la sua Chiesa) c’è un profondo legame, una interdipendenza, per cui tutto che accade a noi e che facciamo noi si ripercuote in Lui, e viceversa. Ecco il perché della sua Passione, come anche dell’Eucaristia. Il Padre ha guardato Gesù e ha visto tutti noi, ognuno di noi. Adesso, guardando noi, vuole vedere il suo Unico Figlio, Gesù. E in noi vuole trovare Gesù insieme con tutto il suo Corpo Mistico e addirittura con tutte le creature: in noi! Vuole che ci facciamo carico di tutti e di tutto, che abbracciamo tutti e tutto, che insieme a Gesù e come Gesù diamo al Padre la risposta d’amore di tutti e di tutto. A questo RAPPORTO CON LUI ci chiama!

Ecco che, fin dal mattino, il Padre mi attende con tanto amore; devo andare da Lui rivestito di suo Figlio, insieme con Gesù, affinché mi riconosca: “Eccomi, o Padre, che vengo per fare la tua Volontà”, e oltre alla mia risposta personale Egli desidera che Gli presenti tutti gli omaggi di adorazione, di lode e gloria, di benedizione e ringraziamento, di amore, che Gli devono tutte le creature… Nel mio rapporto con Lui devono essere presenti i rapporti di tutte le creature: “Tutto ciò che è mio è tuo, e tutto ciò che è tuo è mio”.

Una risposta a Il nostro rapporto con Dio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *