La Festa del Padre Divino
Nel Battesimo di Gesù al Giordano il Padre Divino fece udire la sua voce: “Ecco il mio Figlio, l’Amato, nel quale mi compiaccio”, e di nuovo durante la sua Trasfigurazione sul monte Tabor. Se il Figlio è “l’Amato”, il Padre è Colui che ama, “l’Amante”, e lo Spirito Santo è “l’Amore”, il loro reciproco infinito Amore nel quale si realizza la loro assoluta unità e unicità. Per questo Gesù dice “chi ha visto Me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che Io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che Io vi dico, non le dico da Me; ma il Padre che è con Me compie le sue opere. Credetemi: Io sono nel Padre e il Padre è in Me; se non altro, credetelo per le opere stesse” (Gv 14,9-11).
Gesù disse al Padre nell’ultima Cena: “questa è la vita eterna: che conoscano Te, l’unico vero Dio, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3), conoscerlo per esperienza intima, personale: una grazia, una felicità che supera ogni altra. Ma il Padre non è amato perché non è conosciuto. Che dolore per il suo Amore! Ignorato e non amato dai suoi stessi figli! Egli è Padre, ma i figli (che tali sono diventati per il Battesimo che li ha incorporati a Cristo) non vivono come figli, non hanno ancora lo spirito di figli, anzi del Figlio, ma uno spirito di servi, sono rimasti ancora nell’Antico Testamento, immaturi, con la loro mentalità che li tiene a distanza da Dio, persino “rispettosamente” a distanza. A tanta distanza il pensiero e il cuore… Nel migliore dei casi hanno timore di Dio, ma non è quel “santo timore” di perderlo, di dispiacergli e offenderlo (e questo è un dono dello Spirito Santo), a parte il fatto che “santo timore di Dio” è anche quello che il suo Amore sente, di poter perdere un figlio, o che semplicemente si faccia del male… E dov’è l’amore dovuto al suo Amore?
La conoscenza del Padre va di pari passo con il vivere noi lo spirito di figli, anzi lo Spirito del Figlio. Lo dice San Paolo: “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rom 8,14-17).
“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che Egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché Egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rom 8,28-29).
Ma, concretamente, in che consiste avere lo spirito di figli e vivere come tali, in modo che, come diciamo nel Padrenostro, “sia santificato (da noi) il suo Nome di Padre”?
La risposta la dà il Signore a Luisa Piccarreta (Vol. 20°, 22.12.1926):
“Figlia mia, qual è lo scopo per cui vuoi che la mia Volontà sia compiuta in te e sia conosciuta da tutti?”
Ed io: “Lo voglio perché Tu lo vuoi, lo voglio perché si stabilisca l’ordine divino ed il tuo Regno sulla terra, lo voglio perché la famiglia umana non viva più come estranea da Te, ma che si vincoli di nuovo alla Famiglia Divina, donde ebbe l’origine”.
E Gesù, sospirando, ha soggiunto: “Figlia mia, lo scopo tuo ed il mio è unico. Quando un figlio tiene lo stesso scopo del Padre, vuole ciò che il Padre vuole, non fa mai dimora in casa altrui, lavora nei campi di suo Padre; se si trova con persone, parla della bontà, dell’ingegno, degli scopi grandi di suo Padre, di questo figlio si dice che ama, che è copia perfetta di suo Padre, che si vede con chiarezza da tutti i lati che appartiene a quella famiglia, che è figlio degno di portare in sé con onore la generazione di suo Padre. Così sono i segni [che mostrano] se si appartiene alla Famiglia Celeste: avere lo stesso mio scopo, volere la mia stessa Volontà, dimorare in Essa come in casa propria, lavorare per farla conoscere. Se parla, non sa dire altro che ciò che si fa e si vuole nella nostra Famiglia Celeste. Questa si conosce a chiare note, da tutti i lati, e con ragione, con giustizia e con diritto, che è figlia che Ci appartiene, che è una della nostra Famiglia, che non ha degenerato dalla sua origine, che conserva in sé l’immagine, i modi, i portamenti, la vita di suo Padre, di Colui che l’ha creata. Sicché tu sei una della mia Famiglia, e quanto più fai conoscere la mia Volontà, tanto più ti distingui innanzi al Cielo e alla terra che sei figlia che Ci appartieni. Invece, quando [uno] non tiene lo stesso scopo, poco o nulla dimora nella reggia della nostra Volontà, va sempre girando, ora ad un’abitazione, ora ad un vile tugurio, va sempre vagando nell’aperto delle passioni, facendo atti indegni della sua famiglia; se lavora è in campi estranei; se parla non risuona mai sul suo labbro l’amore, la bontà, l’ingegno, i grandi scopi di suo Padre, sicché in tutto il suo portamento non si conosce affatto che appartiene alla sua famiglia, si può chiamare costui figlio della sua famiglia? E se da quella è uscito, è figlio degenere, che ha spezzato tutti i vincoli e i rapporti che lo legavano alla sua famiglia. Perciò, solo chi fa la mia Volontà e vive in Essa può chiamarsi figlio mio, membro della mia Famiglia Divina e Celeste. Tutti gli altri sono figli degeneri e come estranei alla Famiglia nostra. Ecco che quando tu ti occupi del mio «Fiat» Divino, se parli, se giri in Esso, Ci metti in festa, perché sentiamo che una che Ci appartiene, che è la figlia nostra, parla, gira, lavora nel campo del nostro Volere, e ai figli si lasciano le porte aperte; nessun appartamento si chiude per essi, perché ciò che è del Padre è dei figli e nei figli si mette la speranza della lunga generazione del Padre. Così Io ho messo in te la speranza della lunga generazione dei figli del mio eterno «Fiat».”
San Giovanni lo aveva già annunciato nella sua prima lettera: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto Lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è” (1a Gv 3,1-3).
E il Padre si è personalmente manifestato già nel 1932 per mezzo di un’altra grande mistica del nostro tempo, Madre Eugenia Elisabetta Ravasio (e fu esaminato e approvato dall’Autorità della Chiesa), che i suoi figli si ricordino di Lui non solo come Creatore e Signore, ma come Padre amantissimo, a noi vicinissimo; perché non basta essere figli di Dio fin dal Battesimo (“e realmente lo siamo”), ma occorre vivere come tali e diventare “simili a Lui”, maturi, come lo stesso S. Paolo ha detto: “per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal Padre (cioè “la fine dei tempi”). Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato dalla Donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha inviato nei vostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per Volontà di Dio” (Gal 4,1-7).
Dobbiamo avere lo spirito di figli, anzi del Figlio, nei suoi confronti, per cui lo stesso Padre ha chiesto con infinita umiltà una festa per ricordarlo, una festa che soltanto Lui, il Padre Divino, non ha, indicando la sua preferenza per il 7 Agosto. Il Padre Divino, il primo, è rimasto come l’ultimo perché gli uomini, le sue creature, non lo conoscono né lo amano; anche tanti battezzati non hanno ancora lo spirito di figli: la conoscenza del Padre va di pari passo con il vivere noi lo spirito di figli, anzi lo Spirito del Figlio.
Nel 33.mo volume, il 20.01.1935 Luisa scrive:
«La mia povera mente si sperde nel Volere Divino, ma tanto che non so ridire ciò che comprendo, né quello che provo in quel celeste soggiorno del “Fiat” Divino; so dire solo che sento la Paternità Divina, che con tutto l’amore mi aspetta fra le sue braccia per dirmi: “Siamo come tra figli e Padre; vieni a godere le mie tenerezze paterne, i miei tratti amorosi, le mie dolcezze infinite, lascia che ti faccia da Padre. Non vi è gusto maggiore che Io provo, che poter svolgere la mia Paternità, e tu vieni senza timore, vieni a darmi la tua figliolanza, dammi l’amore, le tenerezze di figlia. Essendo la mia Volontà una con la tua, a Me mi dà la Paternità verso di te e a te ti [dà] il diritto di figlia”.
O Volontà Divina, quanto sei ammirabile e potente! Tu sola hai la virtù di unire qualunque distanza e dissomiglianza col nostro Padre Celeste! Mi sembra che è proprio questo il vivere in Te: sentire la Paternità Divina e sentirsi figlia dell’Ente Supremo.
Ma mentre la mia mente era affollata da tanti pensieri su di Essa, il mio dolce Gesù, facendomi la sua breve visitina, mi ha detto: “Mia figlia benedetta, è proprio questo, vivere nella mia Volontà: acquistare il diritto di figlia e acquistare Dio la supremazia, il comando, il diritto di Padre. Solo Essa sa unire l’uno e l’altra e formare una sola vita…”»
È tempo di passare dallo spirito di servi a quello di figli, dal timore o dall’interesse alla fiducia e all’amore. È il tema di tutto il Vangelo. È il traguardo e lo scopo, la culminazione dell’eterno Progetto di Dio: vivere per il Padre, diventare gloria e trionfo del Padre!
Quando sarà finalmente la gran festa del Padre Divino? Incominciamola noi: “Padre mio, Padre buono, a Te mi offro, a Te mi dono; a Te mi affido, in Te confido, a Te mi dono; tutto ciò che è mio è tuo, tutto ciò che è tuo è mio, io sono tutto tuo e Tu sei tutto mio!”
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