Il trionfo della Divina Volontà nel Cuore Immacolato di Maria
Leggiamo nel libro di Giosuè (3,1-6) i preparativi per entrare nella Terra Promessa, figura del Regno: “Giosuè si mise all’opera di buon mattino; partirono da Sittim e giunsero al Giordano, lui e tutti gli Israeliti. Lì si accamparono prima di attraversare. Trascorsi tre giorni, gli scribi passarono in mezzo all’accampamento e diedero al popolo questo ordine: «Quando vedrete l’Arca dell’alleanza del Signore Dio vostro e i sacerdoti leviti che la portano, voi vi muoverete dal vostro posto e la seguirete; ma tra voi ed essa vi sarà la distanza di circa duemila cùbiti: non avvicinatevi. Così potrete conoscere la strada dove andare, perché prima d’oggi non siete passati per questa strada». Poi Giosuè disse al popolo: «Santificatevi, poiché domani il Signore compirà meraviglie in mezzo a voi». Giosuè disse ai sacerdoti: «Portate l’Arca dell’alleanza e passate davanti al popolo». Essi portarono l’Arca dell’alleanza e camminarono davanti al popolo.”
L’Arca dell’Alleanza è Maria. Lei ci precede di “circa duemila cùbiti”, cioè anni, su questo Cammino per il quale non siamo mai passati: IL VIVERE NELLA DIVINA VOLONTÀ, come Lei è vissuta.
Che cosa è questo “vivere”? Non è forse quel fare la Volontà di Dio, che tutti i Santi conoscono e fanno?
Il primo passo è conoscere che cosa è la Divina Volontà
Dice Gesù: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete… Mio cibo è fare la Volontà di Colui che Mi ha mandato e compiere la sua Opera” (Gv. 4,32-34). “Non cessiamo di pregare per voi –dice San Paolo– e di chiedere che abbiate una piena conoscenza della sua Volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale” (Col. 1,9). “…Poiché Dio ci ha fatto conoscere il mistero della sua Volontà” (Ef. 1,9).
Dunque, la Divina Volontà è oggetto di conoscenza, la più sublime, ed è anche un mistero “nascosto da secoli eterni nella mente di Dio” (cfr. Rom. 16,25; Ef. 3,1-5, 9-12)
San Pietro ci avvisa: “Perciò, dopo aver preparato la vostra mente all’azione, siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà” (l Pt. 1,13). La Divina Volontà è una “grazia”, cioè un dono futuro, il più desiderabile, vincolato alla futura Rivelazione o Parusia di Cristo.
E San Giovanni: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato noi saremo simili a Lui, perché Lo vedremo così come Egli è” (1 Gv. 3,2). Da queste parole risulta evidente che c’è ancora una rivelazione, che per San Giovanni era futura e che riguarda Gesù e riguarda noi, la quale ci restituirà la perduta somiglianza divina.
San Paolo pregava perché avessimo una piena conoscenza della Divina Volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale. E Nostro Signore, nell’ultima Cena, disse: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di Verità, Egli vi guiderà alla Verità tutta intera, perché non parlerà da Sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Gv. 16,12-13). E alla fine pregò il Padre, dicendo: “Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’Amore con il quale Mi hai amato sia in essi ed Io in loro” (Gv. 17,26).
È evidente quanto sia importante la conoscenza. Nella misura che conosciamo una cosa, essa acquista valore per noi, la apprezziamo, la desideriamo, la amiamo e quindi diventa nostra.
La Divina Volontà è la grande sconosciuta, nonostante le parole di Gesù e gli eloquenti accenni della massima importanza che troviamo nella Sacra Scrittura. Col termine “Divina Volontà” si intendono diverse cose. Ci sono alcuni equivoci da chiarire.
LA DIVINA VOLONTÀ, che Gesù chiama nel Vangelo “la Volontà del Padre”, è la realtà più intima, vitale, essenziale di Dio: “Ah, tutto sta nella mia Volontà. L’anima, se prende Questa, prende tutta la sostanza del mio Essere e racchiude tutto in sé” (02-03-1916). Non è una “facoltà” o qualcosa di Dio analoga a quello che la volontà umana è in noi; è quello che Dio è. Come in un meccanismo c’è una prima ruota che muove tutte le altre, così la volontà è quella che in Dio, come in noi, dà vita a tutto.
Di solito intendiamo per Volontà Divina le cose che Egli vuole, le cose volute da Dio (cioè, la vediamo come complemento oggetto); invece per Dio è il soggetto, è Dio stesso che vuole. Possiamo dire: la Volontà è un sostantivo (il termine che esprime la sostanza), mentre tutti gli attributi divini –Amore, Onnipotenza, Bontà, Eternità, Immutabilità, Immensità, Santità, Giustizia, Misericordia, Onniveggenza, Sapienza, ecc.– sono i suoi aggettivi: “La Divina Volontà è onnipotente, è buona, santa, infinita, eterna, sapientissima, misericordiosa, immutabile…”
“IL DIVIN VOLERE” è la Volontà di Dio in atto, indica quello che fa e perciò è un verbo. Invece, “i voleri” indicano le cose volute o stabilite da Dio.
La distinzione tra “volontà” e “volere” (anche se di fatto coincidono) è la stessa che c’è tra “la sorgente” ed “il fiume” che ne esce, o tra il motore e il moto del motore; oppure tra “il cuore” e “il palpitare”.
In modo analogo, una cosa ancora è l’effetto del palpitare, che è la vita, oppure del funzionamento del motore, che è per esempio il viaggiare. Nel caso del “volere”, l’effetto che produce è “l’amore”. Se in Dio la sorgente è la sua Volontà ed il fiume è il Volere Divino, l’acqua di questo fiume è l’Amore. Così, ben può dire Gesù che “l’Amore è il figlio della Divina Volontà”, cioè, è la sua manifestazione e comunicazione.
La Divina Volontà è perciò al di là, al di sopra di tutto quello che Essa fa, delle cose che Dio vuole o non vuole o permette. È la sorgente e la causa suprema di tutto ciò che Dio è, della Vita ineffabile della SS. Trinità e delle loro Opere di Amore eterno. È come “il motore” intimo di Dio, come “la prima ruota” che muove e che dà vita a tutto ciò che Egli è, e a tutte le sue opere. È come “il Cuore” delle Tre Divine Persone.
Ma perché è la cosa meno conosciuta, essendo la più grande e meravigliosa? Perché quel disagio di avere a che fare con una decisione di Dio che è potenza insormontabile, che non si può eludere? Perché l’unico problema che in fondo esiste, è quello dei rapporti tra la Volontà di Dio e la nostra.
Entrambe erano già raffigurate nelle due misteriose e simboliche piante del Paradiso terrestre: l’Albero della Vita e l’albero della conoscenza del bene e del male (Gen. 2,9). Il frutto benedetto del primo è la Vita; il frutto del secondo, del quale l’uomo non doveva mangiare, è la morte.
La Volontà Divina era “discesa” per amore nella sua opera di Creazione; è presente e velata in ogni cosa creata, alla quale dà esistenza, energia e vita, la vita delle sue infinite qualità, per cui “i Cieli e la terra sono pieni della sua Gloria”.
Anche nell’uomo, in Adamo, creato perfetto ed immacolato, la Divina Volontà era presente per essere la sua vita, ed era in lui tanto più gloriosa, quanto l’uomo superava in dignità e bellezza tutti gli altri essere creati. Gli altri esseri, infatti, sono opere, creature di Dio, ma l’uomo, Adamo, fu creato in qualità di figlio di Dio (Lc.3,38). In Adamo Dio stabilì tutti gli altri uomini futuri e li volle come figli di Adamo; mentre invece Adamo stesso e tutta la sua progenie erano invitati ad essere figli di Dio in Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, “il primogenito” fra tutte le creature (Col. 1, 15-17) “il Capo di ogni uomo” (1 Cor. 11,3), “l’Erede di tutta la Creazione” (Lc. 20,14).
In Adamo, figlio di Dio, la Divina Volontà voleva formare, non solo la vita di lui, poiché Adamo fu fatto “anima vivente” (1 Cor. 15,45), ma la stessa Vita soprannaturale di Dio; e ciò era un dono di grazia. Per questo, l’Albero della Vita (che rappresentava la Divina Volontà) era “in mezzo al giardino” (Gen. 2,9).
Ma ci voleva che il Dono fosse accettato liberamente e per amore, così come liberamente e per amore Dio lo offriva. Ecco il senso preciso della prova. Senza la risposta a Dio nella prova, senza la libera accettazione totale della Volontà Divina, Dio avrebbe avuto dei servi, anzi, degli schiavi, ma non dei figli, cosa indegna del suo Amore. L’uomo avrebbe dovuto avere la sua umana volontà “come se non l’avesse”, avrebbe dovuto sacrificarla, cioè consacrarla, vale a dire, offrirla in dono di amore a Dio, per fare posto in essa al Dono della Volontà Divina, perché nella volontà dell’uomo regnasse la Volontà di Dio.
Che significa che l’uomo avrebbe dovuto avere la sua volontà “come se non l’avesse”? Insomma, doveva o non doveva averla? È lo stesso problema dell’Albero della conoscenza del bene e del male: esso doveva stare lì, nel giardino dell’Eden, ma non si doveva mangiare del suo frutto, per non morire.
Che vuol dire questo? Che in quel “Paradiso terrestre vivente” che era la natura dell’uomo, ci deve essere assolutamente la sua volontà umana, la nostra facoltà attiva che decide con il suo “libero arbitrio”. È essenzialmente libera, quindi meritoria, e questo è chiaramente una dote divina, che da sola dimostra come l’uomo è fatto “ad immagine” di Dio. Infatti, poter decidere senza costrizione è cosa nobilissima, propria di Dio, ma nella creatura è anche un rischio necessario e gravissimo: poter rifiutare Dio per preferire sé stessa. È appunto ciò che fece Lucifero ed è quello che in misura inferiore fa l’uomo quando pecca.
Alla natura umana (“spirito, anima e corpo”, l Tes. 5,23), nella quale l’uomo è “immagine” di Dio, Dio aggiunse un dono superiore alla stessa natura, a modo di corona regale: il dono della sua Adorabilissima Volontà, che rendeva l’uomo “a Sua somiglianza”. Era ciò che si dice “lo stato di giustizia originale”. Dio fece l’uomo a sua immagine, affinché l’uomo vivesse e attuasse a sua somiglianza, come un piccolo Dio creato, per poterlo amare ed essere da lui riamato, e così “diventasse partecipe della Natura Divina” (2 Pt. 1,4).
Ma al momento della risposta nella prova, l’uomo disse di no a Dio, disubbidì e con somma ingratitudine ignorò il Donatore e il Dono: preferì la propria volontà. Questo è il peccato. Rifiutò e perdette la Divina Volontà, gli cadde dalla testa la corona regale e non fu più simile a Dio. Col peccato l’uomo lasciò di essere figlio di Dio, ruppe il vincolo d’amore e di vita che lo univa a Dio e, sebbene poi si pentì, poteva essere soltanto suo servo. Per diventare di nuovo figlio era necessario che lo stesso Figlio di Dio per propria natura, rendesse all’uomo la sua stessa condizione di figlio per grazia, mediante la Redenzione.
Gesù ha schematizzato l’intera storia dell’umanità nella parabola del “Figlio prodigo”
La Divina Volontà non poté più vivere e regnare nell’uomo, si vide cacciata via e restò come occulta nella Creazione, ignorata dall’uomo (per questo “tutta la Creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”: Rom. 8,22). Restò come una madre tenerissima, priva di figli, perché essi non La riconoscono più, La ignorano e La offendono in modo orrendo; ma Essa intanto continua a curarli, a servirli per mezzo di tutte le cose create, a dar loro quel poco che può, a causa della loro cecità e lontananza, in attesa del giorno in cui la sua Luce si farà strada nelle loro menti ottenebrate e finalmente La accoglieranno e La faranno regnare come la loro Vita.
Il peccato è fare come farebbe un bambino che, appena incominciasse a parlare, la sua prima parola non fosse “Mamma”, ma dicesse: “Vattene dalla mia vita, non Ti riconosco, non Ti voglio, non Ti servirò!”. È dare vita al proprio volere umano, rifiutando la Volontà Divina.
Poiché occorre precisare che la Volontà Divina e la volontà umana dovevano vivere in tale unione d’amore, da non potersi distinguere quale fosse l’una e quale l’altra, come avviene di una goccia d’acqua che si getta nel mare. Quindi, più che unione, dovevano vivere nell’unità di un unico volere, il Volere Divino.
Come avviene appunto in Gesù, vero Dio e vero Uomo. Egli ha per natura una Volontà Divina (la stessa Volontà del Padre e dello Spirito Santo) e una volontà umana, che ha conservato innocentissima e fedelissima; eppure l’ha tenuta perfettamente immolata… Gesù l’aveva come se non l’avesse, perché entrambe le volontà vivevano ed attuavano nell’unità di un solo Volere, il Volere Divino. Non ha vissuto una doppia vita, “a momenti come Dio e in altri momenti come uomo”, no, ma sempre ed in tutto come l’Uomo-Dio che è. Perciò, tutte le cose fatte da Gesù con la sua perfetta natura umana, anche le più piccole (il mangiare, il dormire, il piangere, il camminare, il conversare, ecc.) erano frutto di entrambe le volontà, unite in un solo Volere Divino, Infinito, Eterno, Santissimo… Sono dunque di un valore infinito e divino, hanno una portata eterna, non soltanto perché appartengono a Gesù, che è Persona Divina, ma perché sono frutto di un Volere Divino.
Il dolore della croce esprime il contrasto tra queste due volontà contrapposte, incrociate, come i due legni che la formano, come i tronchi di quei due alberi del paradiso. Quello verticale, la Volontà di Dio; quello orizzontale, che si oppone e dice “non voglio”, la volontà dell’uomo.
Allora Gesù, che nella sua Incarnazione aveva unito in felice sposalizio la sua Volontà Divina e la sua volontà umana, ha assunto in Sé tutte le creature per riunirle a Dio. Ha trovato la Volontà di Dio e le volontà umane in disaccordo, in forma di “croce-dolore”, e così l’ha fatta sua per coprirla con la sua “Croce-Amore” ed annientare così la loro contrapposizione ed il loro reciproco dolore. E la “Croce-Amore” di Gesù, sulla quale sempre è vissuto, sdraiato in placido abbandono, non è altro che le braccia amorose del Padre Buono che Lo sorreggono, la sua dolcissima ed immensa Volontà, che per Gesù è il cibo, il riposo, la Vita.
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