PRIMA NOVENA
SECONDA NOVEVNA
Il Natale preparato e raccontato da Luisa Piccarreta
La Novena del Santo Natale, tratta dal Primo Volume del diario della Serva di Dio Luisa Piccarreta.
Una seconda Novena, con brani di altri suoi Scritti, contempla il mistero dell’Incarnazione del Verbo.
1. NOVENA DEL SANTO NATALE
Incomincio. Una novena del Santo Natale, circa l’età di diciassette anni, mi preparai alla festa del Santo Natale praticando diversi atti di virtù e mortificazione e specialmente onorando i nove mesi che Gesù stette nel seno materno, con nove ore di meditazione al giorno, appartenente sempre al mistero dell’Incarnazione.
Prima ora
Come per esempio, in un’ora mi portavo col pensiero nel Paradiso e mi immaginavo la SS. Trinità: il Padre che mandava il Figlio sulla terra, il Figlio che prontamente ubbidiva al volere del Padre, lo Spirito Santo che vi consentiva.
La mia mente si confondeva nel mirare un sì grande mistero, un amore così reciproco, così eguale, così forte tra Loro e verso gli uomini, e poi l’ingratitudine degli uomini e specialmente la mia, che vi sarei stata non un’ora, ma tutto il giorno. Ma una voce interna mi diceva: “Basta; vieni e vedi altri eccessi più grandi del mio amore”
Seconda ora
Quindi la mia mente si portava nel seno materno e rimanevo stupita nel considerare quel Dio sì grande nel cielo, ora così annichilito, impiccolito, ristretto, che non poteva muoversi e quasi neppure respirare. La voce interna mi diceva: “Vedi quanto ti ho amato? Deh, dammi un po’ di largo nel tuo cuore, togli tutto ciò che non è mio, che così mi darai più agio a potermi muovere e a farmi respirare”.
Il mio cuore si struggeva; gli chiedevo perdono, promettevo d’essere tutta sua, mi sfogavo in pianto. Ma però, lo dico a mia confusione, che ritornavo ai miei soliti difetti. O Gesù, quanto siete stato buono con questa misera creatura!
Terza ora
Una voce interna mi diceva: “Figlia mia, poggia la tua testa sul seno della mia Mamma; guarda fin dentro di esso la mia piccola Umanità. Il mio Amore mi divorava; gli incendi, gli oceani, i mari immensi dell’Amore della mia Divinità mi inondavano, mi incenerivano, alzavano tanto le loro vampe che si alzavano e si estendevano ovunque, a tutte le generazioni, dal primo all’ultimo uomo, e la mia piccola Umanità era divorata in mezzo a tante fiamme. Ma sai tu che cosa il mio Eterno Amore mi voleva far divorare? Ah, le anime! E allora fui contento, quando le divorai tutte, restando con me concepite. Ero Dio: dovevo operare da Dio, dovevo prendere tutte; il mio Amore non mi avrebbe dato pace, se avessi escluso qualcuna… Ah, figlia mia, guarda bene nel seno della mia Mamma; fissa bene gli occhi nella mia Umanità concepita e vi troverai l’anima tua concepita con me, le fiamme del mio Amore che ti divorarono. Oh, quanto ti ho amato e ti amo!”
Io mi sperdevo in mezzo a tanto amore, né sapevo uscirmene; ma una voce mi chiamava forte, dicendomi: “Figlia mia, ciò è nulla ancora. Stringiti più a me; dà le tue mani alla mia cara Mamma, affinché ti tenga stretta sul suo seno materno, e tu dà un altro sguardo alla mia piccola Umanità concepita e guarda il quarto eccesso del mio Amore”.
Quarta ora
“Figlia mia, dall’Amore divorante passa a guardare il mio Amore operante. Ogni anima concepita mi portò il fardello dei suoi peccati, delle sue debolezze e passioni, ed il mio Amore mi comandò di prendere il fardello di ciascuna; e non solo le anime concepii, ma le pene di ciascuna, le soddisfazioni che ognuna di esse doveva dare al mio Celeste Padre. Sicché la mia Passione fu concepita insieme con me.
Guardami bene nel seno della mia Celeste Mamma. Oh, come la mia piccola Umanità era straziata! Guarda bene come la mia piccola testolina è circondata da un serto di spine, che cingendomi forte le tempie mi fanno mandare fiumi di lacrime dagli occhi; né potevo muovermi per asciugarle. Deh, muoviti a compassione di me! Asciugami gli occhi dal tanto piangere, tu che hai le braccia libere per potermelo fare! Queste spine sono il serto dei tanti pensieri cattivi che si affollano nelle menti umane. Oh, come mi pungono, più delle spine che germoglia la terra!
Ma guarda ancora che lunga crocifissione di nove mesi: non potevo muovere né un dito, né una mano, né un piede; ero qui sempre immobile, non c’era posto per potermi muovere un tantino. Che lunga e dura crocifissione, con l’aggiunta che tutte le opere cattive, prendendo forma di chiodi, mi trafiggevano mani e piedi ripetutamente”.
E così continuava a narrarmi pena per pena tutti i martiri della sua piccola Umanità, che a volerli dire tutti sarei troppo lunga. Onde io mi abbandonavo al pianto e mi sentivo dire nel mio interno: “Figlia mia, vorrei abbracciarti, ma non posso, non c’è lo spazio, sono immobile, non lo posso fare; vorrei venire a te, ma non posso camminare. Per ora abbracciami e vieni tu a me; poi, quando uscirò dal seno materno, verrò Io a te”.
Ma mentre con la mia fantasia me Lo abbracciavo, me Lo stringevo forte al cuore, una voce interna mi diceva: “Basta per ora, figlia mia, e passa a considerare il quinto eccesso del mio Amore”.
Quinta ora
Onde la voce interna proseguiva: “Figlia mia, non ti scostare da me, non mi lasciare solo, il mio Amore vuole la compagnia: un altro eccesso del mio Amore, che non vuole essere solo. Ma sai tu di chi vuole essere in compagnia? Della creatura! Vedi, nel seno della mia Mamma, insieme con me ci sono tutte le creature concepite insieme con me. Io sto con loro tutto amore; voglio dir loro quanto le amo, voglio parlare con loro per dire le mie gioie e i miei dolori, che sono venuto in mezzo a loro per renderle felici, per consolarle, che starò in mezzo a loro come un loro fratellino, dando a ciascuna tutti i miei beni, il mio Regno, a costo della mia morte; voglio dar loro i miei baci, le mie carezze, voglio trastullarmi con loro. Ma, ahi, quanti dolori mi danno! Chi mi fugge, chi fa il sordo e mi riduce al silenzio, chi disprezza i miei beni e non si cura del mio Regno; ricambiano i miei baci e carezze con la noncuranza e la dimenticanza di me, ed il mio trastullo lo convertono in amaro pianto… Oh, come sono solo, pure in mezzo a tanti! Oh, come mi pesa la mia solitudine! Non ho a chi dire una parola, con chi fare uno sfogo, neppure d’amore; sono sempre mesto e taciturno, perché se parlo non sono ascoltato. Ah, figlia mia, ti prego, ti supplico, non mi lasciare solo in tanta solitudine, dammi il bene di farmi parlare con l’ascoltarmi; presta orecchio ai miei insegnamenti. Io sono il Maestro dei maestri; quante cose voglio insegnarti! Se tu mi darai ascolto, mi farai cessare di piangere e mi trastullerò con te; non vuoi tu trastullarti con me?”.
E mentre mi abbandonavo in Lui, compatendolo della sua solitudine, la voce interna proseguiva: “Basta, basta, e passa a considerare il sesto eccesso del mio Amore”.
Sesta ora
“Figlia mia, vieni, prega la mia cara Mamma che ti faccia un po’ di posticino nel suo seno materno, affinché tu stessa veda lo stato doloroso in cui mi trovo”.
Onde mi pareva, col pensiero, che la nostra Regina Mamma, per contentare Gesù, mi facesse un po’ di posto e mi mettesse dentro, ma era tale e tanta l’oscurità che non lo vedevo; solo sentivo il suo respiro, e Lui nel mio interno seguitava a dirmi: “Figlia mia, guarda un altro eccesso del mio Amore. Io sono la Luce eterna; il sole è un’ombra della mia Luce; ma vedi dove mi ha condotto il mio Amore? In che oscura prigione Io sono? Non c’è uno spiraglio di luce, è sempre notte per me, ma notte senza stelle, senza riposo; sono sempre desto, che pena! La strettezza della prigione, senza potermi menomamente muovere; le fitte tenebre; anche il respiro –respiro per mezzo del respiro della mia Mamma–, oh, come è stentato! E poi aggiungi le tenebre delle colpe delle creature; ogni colpa era una notte per me, ed unendosi insieme formavano un abisso di oscurità senza sponde. Che pena! O eccesso del mio Amore, farmi passare da un’immensità di luce, di larghezza, in una profondità di fitte tenebre e di tale strettezza, fino a mancarmi la libertà del respiro; e tutto ciò per amore delle creature!”
E mentre ciò diceva, gemeva, quasi con gemiti soffocati per mancanza di spazio, e piangeva. Io mi struggevo in pianto, lo ringraziavo, lo compativo; volevo fargli un po’ di luce col mio amore, come Lui mi diceva…, ma chi può dire tutto?
La stessa voce interna soggiungeva: “Basta per ora, e passa al settimo eccesso del mio Amore”.
Settima ora
La voce interna proseguiva: “Figlia mia, non mi lasciare solo in tanta solitudine ed in tanta oscurità; non uscire dal seno della mia Mamma, per guardare il settimo eccesso del mio Amore.
Ascoltami: nel seno del mio Celeste Padre Io ero pienamente felice; non c’era bene che non possedevo: gioia, felicità, tutto era a mia disposizione; gli angeli, riverenti, mi adoravano e stavano ai miei cenni. Ah, l’eccesso del mio Amore, potrei dire, mi fece cambiar fortuna, mi restrinse in questa tetra prigione, mi spogliò di tutte le mie gioie, felicità e beni, per vestirmi di tutte le infelicità delle creature; e tutto ciò per fare il cambio, per dare la mia fortuna, le mie gioie e la mia felicità eterna a loro.
Ma ciò sarebbe stato nulla se non avessi trovato in loro una somma ingratitudine ed ostinata perfidia. Oh, come restò sorpreso il mio eterno Amore innanzi a tanta ingratitudine e pianse l’ostinatezza e la perfidia dell’uomo! L’ingratitudine fu la spina più pungente che mi trafisse il Cuore, dal mio concepimento fino all’ultimo istante del mio morire.
Guarda, il mio Cuoricino è ferito e sgorga sangue; che pena, che spasimo che sento! Figlia mia, non essermi ingrata; l’ingratitudine è la pena più dura per il tuo Gesù, è il chiudermi in faccia le porte per farmi restare fuori ad intirizzire di freddo. Ma a tanta ingratitudine il mio Amore non si arrestò e si atteggiò ad Amore supplicante, pregante, gemente e mendicante; e questo è l’ottavo eccesso del mio Amore”.
Ottava ora
“Figlia mia, non mi lasciare solo; poggia la tua testa sul seno della mia cara Mamma, che anche al di fuori sentirai i miei gemiti, le mie suppliche. E vedendo che né i miei gemiti, né le mie suppliche muovono a compassione del mio Amore la creatura, mi atteggio come il più povero dei mendichi e, stendendo la mia piccola manina, chiedo per pietà almeno, a titolo di elemosina, le loro anime, i loro affetti e i loro cuori. Il mio Amore voleva vincere a qualunque costo il cuore dell’uomo; e vedendo che dopo sette eccessi del mio Amore era restio, faceva il sordo, non si curava di me né si voleva dare a me, il mio Amore si volle spingere di più; avrebbe dovuto arrestarsi, ma no; volle uscire di più dai suoi limiti, e fin dal seno della mia Mamma faceva giungere la mia voce ad ogni cuore coi modi più insinuanti, con le preghiere più ferventi, con le parole più penetranti… Ma sai che gli dicevo? «Figlio mio, dammi il tuo cuore; tutto ciò che tu vuoi Io ti darò, purché mi dia in cambio il cuore tuo. Sono sceso dal Cielo per farne preda: deh, non me lo negare! Non rendere deluse le mie speranze!» E vedendolo restio, anzi, molti mi voltavano le spalle, passavo ai gemiti, giungevo le mie piccole manine e, piangendo con voce soffocata da singhiozzi, soggiungevo: «Ahi, ahi, sono il piccolo mendico; neppure in elemosina vuoi darmi il cuor tuo?» Non è questo un eccesso più grande del mio Amore, che il Creatore, per avvicinarsi alla creatura, prenda la forma di piccolo bambino, per non incutere timore, e chieda almeno per elemosina il cuore della creatura? E vedendola che non lo vuol dare, preghi, gema e pianga?”
E poi mi sentivo dire: “E tu, non vuoi darmi il tuo cuore? Forse anche tu vuoi che gema, preghi e pianga per darmi il tuo cuore? Vuoi negarmi l’elemosina che ti chiedo?”.
E mentre ciò diceva, sentivo come se singhiozzasse. Ed io: “Mio Gesù, non piangere, ti dono il mio cuore e tutta me stessa”.
Onde la voce interna proseguiva: “Passa più oltre, passa al nono eccesso del mio Amore”.
Nona ora
“Figlia mia, il mio stato è sempre più doloroso. Se mi ami, il tuo sguardo abbilo fisso in me, per vedere se al tuo piccolo Gesù puoi apprestare qualche sollievo. Una parolina d’amore, una carezza, un bacio, metterà tregua al mio pianto e alle mie afflizioni.
Senti, figlia mia, dopo aver dato otto eccessi del mio Amore, che l’uomo mi contraccambiò così malamente, il mio Amore non si diede per vinto e all’ottavo eccesso volle aggiungere il nono; e questo furono le ansie, i sospiri di fuoco, le fiamme dei desideri, ché volevo uscire dal seno materno per abbracciare l’uomo, e questo riduceva la mia piccola Umanità, non ancora nata, ad una agonia tale da giungere a dare l’ultimo anelito. E mentre stavo per dare l’ultimo respiro, la mia Divinità, che era inseparabile da me, mi dava dei sorsi di vita, e così riprendevo la vita, per continuare la mia agonia e ritornare di nuovo a morire.
Fu questo il nono eccesso del mio Amore: agonizzare e morire d’amore continuo per la creatura. Oh, che lunga agonia di nove mesi! Oh, come l’Amore mi soffocava e mi faceva morire! E se non avessi avuto la Divinità con me, che mi ridonava la vita ogni qual volta stavo per finire, l’Amore mi avrebbe consumato prima di uscire alla luce del giorno”.
Poi soggiungeva: “Guardami, ascoltami, come agonizzo! Come il mio piccolo Cuore batte, affanna, brucia! Guardami, adesso muoio!”
E faceva profondo silenzio. Io mi sentivo morire, mi si gelava il sangue nelle vene e tremante gli dicevo: “Amor mio, Vita mia, non morire, non mi lasciare sola! Tu vuoi amore, ed io ti amerò, non ti lascerò più. Dammi le tue fiamme, per poterti più amare e consumarmi tutta per te”.
Conclusione della Novena
Così passai i giorni della novena. Mentre giunse la vigilia mi sentivo più che mai accesa d’insolito fervore e vi stavo sola nella stanza, ed eccomi che mi si fa dinanzi il Bambinello Gesù, tutto bello, sì, ma tremante, in atto di volermi abbracciare, ed io mi alzai e corsi per abbracciarlo, ma nell’atto di stringerlo mi scomparve; e questo si ripete per ben tre volte. Restai tanto commossa e accesa, che non so spiegarlo.
“Si resta esterrefatti dell’immenso Amore e dell’immenso patire di nostro Signore Gesù Cristo benedetto per nostro amore, per la salute delle anime. In nessun libro ho letto, sul proposito, una Rivelazione così toccante e penetrante” (da una lettera di Sant’Annibale Maria Di Francia a Luisa nel 1927, parlando dei nove eccessi d’amore di Gesù nel seno di sua Madre, nella Novena di preparazione al Santo Natale).
2. SECONDA NOVENA
Primo giorno – 16 Dicembre
I nove eccessi d’amore di Gesù nella sua Incarnazione
Stavo facendo la meditazione e, siccome oggi incomincia la Novena al Bambino Gesù, stavo pensando ai nove eccessi che Gesù con tanta tenerezza mi aveva narrato sulla sua Incarnazione e che sono scritti nel primo Volume, e sentivo grande ripugnanza di ricordarlo al Confessore, perché Lui mentre li leggeva mi aveva detto che voleva leggerli in pubblico nella nostra cappella.
Ora, mentre ciò pensavo, il mio Bambinello Gesù si è fatto vedere nelle mie braccia piccino, piccino, e carezzandomi con le sue piccole manine mi ha detto: “Come è bella la piccola figlia mia! Come è bella! Come devo ringraziarti perché mi hai ascoltato!”
Ed io: “Amor mio, che dici? Io devo ringraziare te, che mi hai parlato e che con tanto amore, facendomi da maestro, mi hai dato tante lezioni che io non meritavo”.
E Gesù: “Ah, figlia mia, a quanti voglio parlare e non mi danno ascolto, mi riducono al silenzio e soffocano le mie fiamme. Sicché dobbiamo ringraziarci a vicenda, tu devi ringraziare me ed Io te. E poi, perché vuoi opporti alla lettura dei nove eccessi? Ah, tu non sai quanta vita, quanto amore e grazia contengono! Tu devi sapere che la mia parola è Creazione e nel narrarti i nove eccessi del mio Amore nell’Incarnazione Io non solo rinnovavo il mio amore che ebbi nell’incarnarmi, ma creavo nuovo amore, per investire le creature e vincerle per darsi a me. Con questi nove eccessi del mio amore, che ti ho manifestato con tanto amore di tenerezza e semplicità, formai il preludio alle tante lezioni che dovevo darti del mio FIAT Divino per formare il suo Regno, e ora, col leggerli, il mio amore viene rinnovato e duplicato. Non vuoi tu dunque che il mio amore, duplicandosi, straripi ed investa altri cuori, affinché come preludio si dispongano alle lezioni della mia Volontà per farla conoscere e regnare?”
Ed io: “Mio caro Bambino, penso che abbiano parlato tanti della tua Incarnazione”.
E Gesù: “Sì, sì, hanno parlato, ma non sono state parole prese dalla riva del mare del mio amore, quindi sono parole che non posseggono né tenerezza, né pienezza di vita. Invece quelle poche parole che ho detto a te, te le ho detto da dentro la vita della sorgente del mio Amore, e contengono vita, forza irresistibile e tenerezze tali, che solo i morti non sentiranno muoversi a pietà di me, piccolo piccino, che soffrii tante pene fin dal seno della Mamma Celeste.” (Vol. 25°, 16 Dicembre 1928)
Secondo giorno – 17 Dicembre
Nell’Incarnazione del Verbo sono state concepite e racchiuse tutte le creature (compresa sua Madre) e tutti i prodigi del suo Amore Divino
“Figlia diletta mia, se il Concepimento della mia Celeste Mamma fu prodigioso e fu concepita nel mare che uscì dalle Tre Divine Persone, il mio Concepimento non fu nel mare che uscì da Noi, ma nel gran mare che risiedeva in Noi, la nostra stessa Divinità, che scendeva nel seno verginale di questa Vergine, e restai concepito. È vero che si dice che il Verbo restò concepito, ma il mio Celeste Padre e lo Spirito Santo erano inseparabili da Me. È vero che Io ebbi la parte agente, ma Loro la ebbero concorrente.
Immaginati due riflettori, di cui uno riflette nell’altro lo stesso soggetto. Questi soggetti sono tre: quello di mezzo prende la parte operante, sofferente, supplicante; gli altri due vi stanno insieme, vi concorrono e sono spettatori. Sicché potrei dire che dei due riflettori uno era la Trinità Sacrosanta e l’altro la mia cara Mamma. Lei, nel breve corso della sua vita, col vivere sempre nel mio Volere mi preparò nel suo verginal seno il piccolo terreno divino dove Io, Verbo Eterno, dovevo vestirmi di umana carne, perché mai sarei disceso dentro un terreno umano. E riflettendo la Trinità in lei, restai concepito. Onde mentre quella stessa Trinità restava in Cielo, Io restavo concepito nel seno di questa nobile Regina.
Tutte le altre cose, per quanto siano grandi, nobili, sublimi, prodigiose, anche lo stesso Concepimento della Vergine Regina, tutte restano dietro; non c’è cosa che possa paragonarsi, né amore, né grandezza, né potenza, al mio Concepimento. Qui non si tratta di formare una vita, ma di rinchiudere la Vita che dà vita a tutti; non di allargarmi, ma di restringermi, per potermi far concepire, non per ricevere, ma per dare… Chi ha creato tutto, per rinchiudersi in una creata e piccolissima Umanità! Queste sono opere solo di un Dio e di un Dio che ama, che a qualunque costo vuole legare col suo Amore la creatura per farsi amare.
Ma questo è un bel nulla ancora. Sai tu dove sfolgorò tutto il mio Amore, tutta la mia Potenza e Sapienza? Non appena la Potenza Divina formò questa piccolissima Umanità, tanto piccola che potrebbe paragonarsi alla grossezza di una nocella,[1] ma con le membra tutte proporzionate e formate, e il Verbo restò concepito in essa. L’immensità della mia Volontà, racchiudendo tutte le creature passate, presenti e future, concepì in Essa tutte le vite delle creature e, come cresceva la mia, così crescevano loro in Me. Sicché, mentre apparentemente parevo solo, visto col microscopio della mia Volontà si vedevano concepite tutte le creature. Succedeva di Me come quando si vedono acque cristalline, che mentre compariscono chiare, viste col microscopio, quanti microbi non si vedono?
Il mio Concepimento fu tale e tanto grande, che la gran ruota dell’Eternità restò colpita ed estatica, nel vedere gli innumerevoli eccessi del mio Amore e tutti i prodigi uniti insieme. Tutta la mole dell’Universo restò scossa nel vedere rinchiudersi Colui che dà vita a tutto, restringersi, impiccolirsi, rinchiudere tutto…, per fare che cosa? Per prendere le vite di tutti e far rinascere tutti”. (Vol. 15°, 16 Dicembre 1922)
Terzo giorno – 18 Dicembre
Nell’Incarnazione Gesù innestò l’Umanità alla Divinità, affinché la creatura si unisca a Lui e prenda parte a questo innesto
“La mia Incarnazione innestò l’umanità alla Divinità, e chi cerca di stare unito con Me con la volontà, con le opere e col cuore, cercando di svolgere la sua vita a norma della mia, si può dire che cresce nella mia stessa vita e dà lo sviluppo all’innesto da Me fatto, aggiungendo altri rami all’albero della mia Umanità. Se poi non si unisce con Me, oltre a non crescere in Me non dà nessuno sviluppo all’innesto, e siccome chi non sta con Me non può avere vita, quindi con la perdizione si scioglie questo innesto”. (Vol. 5°, 2 Ottobre 1903)
Nell’Incarnazione il Verbo si unì alla Croce; perciò la Croce forma una specie d’incarnazione di Dio nell’anima e dell’anima in Dio
“Figlia mia, nella Creazione Io diedi all’anima la mia immagine, nell’Incarnazione diedi la mia Divinità, divinizzando l’umanità. E siccome nell’atto stesso in cui s’incarnò la Divinità nell’umanità, in quel medesimo istante s’incarnò nella croce, pertanto da che fui concepito [fui] concepito unito con la croce.[2] Sicché si può dire che come la croce fu unita con Me nell’Incarnazione che feci nel seno di mia Madre, così la croce forma altrettante mie incarnazioni nel seno delle anime, e come forma la mia nelle anime, così la croce è l’incarnazione dell’anima in Dio, distruggendo nell’anima tutto ciò che dà di natura e riempiendola tanto della Divinità, da formare una specie d’incarnazione: Dio nell’anima e l’anima in Dio”.
Io sono rimasta come incantata nel sentire che la croce è l’incarnazione dell’anima in Dio, e Lui ha ripetuto: “Non dico unione, ma incarnazione, perché la croce s’intromette tanto nella natura, da far diventare la stessa natura dolore e dove c’è il dolore là c’è Dio, senza poter stare separati Dio e il dolore; e la croce, formando questa specie d’incarnazione, rende l’unione più stabile e quasi difficile la separazione di Dio dall’anima, come è difficile separare il dolore dalla natura, mentre con l’unione facilmente può avvenire la separazione. S’intende sempre che non sono vere incarnazioni, ma similitudini d’incarnazione”. (Vol. 6°, 22 Dicembre 1903)
L’Incarnazione “tipica” di Gesù nel tempo e l’Incarnazione “mistica” di Gesù nelle anime, fino a rinascere all’esterno
Questa mattina, trovandomi nel solito mio stato è venuto il Bambino Gesù ed io, vedendolo piccino piccino, come se allora fosse nato, gli ho detto: “Carino mio, quale fu la causa che ti fece venire dal Cielo e nascere così piccino nel mondo?”
E Lui: “L’amore ne fu la cagione; non solo mia, ma la mia nascita nel tempo fu lo sbocco d’amore della SS. Trinità verso le creature. In uno sbocco d’amore di mia Madre nacqui dal suo seno, e in uno sbocco d’amore rinasco nelle anime. Ma questo sbocco viene formato dal desiderio. Non appena l’anima incomincia a desiderarmi, Io resto già concepito; quanto più s’inoltra nel desiderio, così mi vado ingrandendo nell’anima; quando questo desiderio riempie tutto l’interno e giunge a farne lo sbocco fuori, allora rinasco in tutto l’uomo, cioè, nella mente, nella bocca, nelle opere e nei passi. All’opposto, anche il demonio fa le sue nascite nelle anime: non appena l’anima incomincia a desiderare e a volere il male, resta concepito il demonio con le sue opere perverse, e se questo desiderio viene nutrito, il demonio s’ingrandisce e riempie tutto l’interno di passioni, le più brutte e schifose, e giunge a farne lo sbocco fuori, dando tutto l’uomo la disfatta di tutti i vizi. Figlia mia, quante nascite fa il demonio in questi tristissimi tempi! Se gli uomini e i demoni avessero potere, avrebbero distrutto le mie nascite nelle anime.” (Vol. 6°, 24 Dicembre 1903)
Quarto giorno – 19 Dicembre
La Divinità fu la protagonista della Redenzione, facendo soffrire la Passione all’Umanità di Gesù, fin dal primo istante del suo Concepimento
“Vedi, figlia mia, con che eccesso d’amore amai la creatura. La mia Divinità fu gelosa di affidare alla creatura il compito della Redenzione, facendomi soffrire la Passione. La creatura era impotente a farmi morire tante volte per quante creature erano uscite e dovranno uscire alla luce del creato e per quanti peccati mortali avrebbero avuto la disgrazia di commettere. La Divinità voleva vita per ciascuna vita di creatura, e vita per ciascuna morte che col peccato mortale si dava. Chi poteva essere così potente su di Me, a darmi tante morti, se non la mia Divinità? Chi avrebbe avuto la forza, l’amore, la costanza di vedermi tante volte morire, se non la mia Divinità? La creatura si sarebbe stancata e venuta meno. E non ti credere che questo lavorio della mia Divinità incominciò tardi, ma non appena fu compiuto il mio concepimento, fin nel seno della mia Mamma, che molte volte era a giorno delle mie pene e restava martirizzata e sentiva la morte insieme con Me. Sicché fin dal seno materno la mia Divinità prese l’impegno di carnefice amoroso, ma perché amoroso più esigente ed inflessibile, tanto che neppure una spina fu risparmiata alla mia gemente Umanità, né un chiodo, ma non come le spine, i chiodi o i flagelli che soffrii nella passione che mi diedero le creature, che non si moltiplicavano: quanti me ne mettevano, tanti ne restavano. Invece, quelli della mia Divinità si moltiplicavano ad ogni offesa; sicché tante spine per quanti pensieri cattivi, tanti chiodi per quante opere indegne, tanti colpi per quanti piaceri, tante pene per quanta diversità di offese. Perciò erano mari di pene, spine, chiodi e colpi innumerevoli. Innanzi alla passione che mi diede la Divinità, la passione che mi diedero le creature nell’ultimo dei miei giorni non fu altro che ombra, immagine di ciò che mi fece soffrire la mia Divinità nel corso della mia vita. Perciò amo tanto le anime, sono vite che mi costano, sono pene inconcepibili a mente creata. Perciò entra dentro della mia Divinità e vedi e tocca con mano ciò che soffrii”. (Vol. 12°, 4 Febbraio 1919)
Quinto giorno – 20 Dicembre
Le pene di Gesù fin dal suo Concepimento, avendo concepito in Sé tutte le anime come sua propria vita: in realtà moriva per ciascuno e soffriva le pene di tutti
“Figlia del mio Volere, vieni a prendere parte alle prime morti e alle pene che soffrì la mia piccola Umanità dalla mia Divinità nell’atto del mio Concepimento. Come fui concepito, così concepii insieme con Me tutte le anime passate, presenti e future come mia propria vita. Concepii insieme le pene e le morti che per ciascuna dovevo soffrire. Dovevo incorporare tutto in Me: anime, pene e morte che ciascuna doveva subire, per dire al Padre: «Padre mio, non più guarderai la creatura, ma Me solo; in Me troverai tutti ed Io soddisferò per tutti. Quante pene vuoi, Te le darò. Vuoi che subisca una morte per ognuno? La subirò. Tutto accetto, purché dia vita a tutti». Ecco perché ci voleva un volere e potere divino, per darmi tante morti e tante pene, e un potere e volere divino per farmi soffrire. E siccome nel mio Volere stanno in atto tutte le anime e tutte le cose, non in modo astratto o intenzionale, come qualcuno può pensare, ma in realtà tenevo in Me tutti, che immedesimati con Me formavano la mia stessa vita, in realtà morivo per ciascuno e soffrivo le pene di tutti. È vero che ci concorreva un miracolo della mia onnipotenza, il prodigio del mio immenso Volere. Senza la mia Volontà la mia Umanità non avrebbe potuto trovare ed abbracciare tutte le anime, né avrebbe potuto morire tante volte. Onde la mia piccola Umanità, come fu concepita, incominciò a soffrire l’alternanza delle pene e delle morti, e tutte le anime nuotavano in Me, come dentro un vastissimo mare, ed erano come membra delle mie membra, sangue del mio sangue e cuore del mio Cuore. Quante volte la mia Mamma, prendendo il primo posto nella mia Umanità, sentiva le mie pene e le mie morti e ne moriva insieme con Me! Come mi era dolce trovare nell’amore della mia Mamma l’eco del Mio! Sono misteri profondi, dove l’intelletto umano, non comprendendo bene, pare che si smarrisce. Perciò, vieni nel mio Volere e prendi parte alle morti e alle pene che subii, non appena fu compiuto il mio concepimento. Da ciò potrai comprendere meglio quello che ti dico”.
Non so dire come, mi sono trovata nel seno della mia Regina Mamma, dove vedevo l’infante Gesù piccolo, piccolo, ma, sebbene piccino, conteneva tutto. Dal suo Cuore si è spiccato un dardo di luce nel mio, e come mi penetrava sentivo darmi morte e come usciva mi ritornava la vita. Ogni tocco di quel dardo produceva un dolore acutissimo, da sentirmi disfare e in realtà morire, e poi, col suo stesso tocco, mi sentivo rivivere; ma io non ho parole giuste ad esprimermi e perciò faccio punto. (Vol. 12°, 18 Marzo 1919)
Sesto giorno – 21 Dicembre
La sorte di Gesù neonato nella grotta di Betlemme è meno dura che nell’Eucaristia, a causa dell’abbandono delle creature
Onde dopo è ritornato il mio dolce Gesù. Era tenero bambinello. Vagiva, piangeva e tremava per il freddo e si è gettato nelle mie braccia per essere riscaldato. Io me l’ho stretto forte, forte, e secondo il mio solito mi fondevo nel suo Volere, per trovare i pensieri di tutti insieme coi miei e circondare il tremante Gesù con le adorazioni di tutte le intelligenze create; per trovare gli sguardi di tutti, per far guardare Gesù e distrarlo dal pianto; le bocche, le parole, le voci di tutte le creature, affinché tutte lo baciassero per non farlo vagire e col loro fiato lo riscaldassero. Mentre ciò facevo, l’Infante Gesù non più vagiva, ha cessato dal piangere e come riscaldato mi ha detto:
“Figlia mia, hai visto che mi faceva tremare, piangere e vagire? L’abbandono delle creature. Tu me le hai messe tutte intorno. Mi sono sentito guardato, baciato da tutte, ed Io mi sono quietato dal pianto. Sappi però che la mia sorte sacramentale è più dura ancora della mia sorte infantile. La grotta, sebbene fredda, era spaziosa, aveva un’aria da respirare; l’ostia è anche fredda e tanto piccola, che quasi mi manca l’aria. Nella grotta ebbi una mangiatoia con un poco di fieno per letto; nella mia vita sacramentale anche il fieno mi manca e per letto non ho altro che metalli duri e gelati. Nella grotta ci avevo la mia cara Mamma, che molto spesso mi prendeva con le sue mani purissime, mi copriva con baci infuocati da riscaldarmi, mi quietava il pianto, mi nutriva col suo latte dolcissimo. Tutto al contrario nella mia vita sacramentale: non ho una Mamma; se mi prendono, sento il tocco di mani indegne, mani che danno di terra o di letame… Oh, come ne sento la puzza, più del letame che sentivo nella grotta! Invece di coprirmi con baci mi toccano con atti irriverenti e invece di latte mi danno il fiele dei sacrilegi, della noncuranza, delle freddezze. Nella grotta San Giuseppe non mi fece mancare una lanternina di luce la notte; qui nel Sacramento, quante volte resto al buio anche la notte! Oh, come è più dolorosa la mia sorte sacramentale! Quante lacrime nascoste, non viste da nessuno, quanti vagiti non ascoltati! Se ti ha mosso a pietà la mia sorte infantile, molto ti deve muovere a pietà la mia sorte sacramentale”. (Vol. 12°, 25 Dicembre 1920)
Il gelo dell’ingratitudine che trovò Gesù al nascere: dopo la Mamma, la prima che Gesù chiamò fu la sua piccola Figlia e in lei gli altri figli del suo Volere
Trovandomi nel solito mio stato, il mio dolce Gesù si faceva vedere Bambinello, tutto intirizzito dal freddo, e gettandosi nelle mie braccia mi ha detto:
“Che freddo, che freddo, riscaldami per pietà, non mi lasciare più gelare”.
Io me l’ho stretto al cuore dicendogli: “Nel mio cuore posseggo il tuo Volere, sicché il calore di Esso è più che sufficiente per riscaldarti”.
E Gesù tutto contento: “Figlia mia, il mio Volere contiene tutto e chi lo possiede può darmi tutto. La mia Volontà fu tutto per Me: mi concepì, mi formò, mi fece crescere e mi fece nascere, e se la mia cara Mamma contribuì col darmi il sangue, lo potette fare per la mia Volontà che conteneva assorbita in sé. Se non avesse avuto il mio Volere non avrebbe potuto contribuire a formare la mia Umanità, sicché la mia Volontà diretta e la mia Volontà assorbita nella mia Mamma mi diedero la vita. L’umano non aveva potere su di Me di darmi nulla, ma solo il Volere Divino col suo alito mi alimentò e mi diede alla luce. Ma credi tu che fu il freddo dell’aria che mi gelò? Ah, no, fu il freddo dei cuori che mi intirizzì e l’ingratitudine, che al primo uscire alla luce mi fece piangere amaramente. Ma la mia diletta Madre mi quietò il pianto, sebbene pianse anch’Essa; le nostre lacrime si mescolarono insieme e dandoci i primi baci ci sfogammo in amore. Ma la nostra vita doveva essere il dolore e il pianto, e mi feci mettere nella mangiatoia per ritornare al pianto e chiamare coi miei singhiozzi e con le mie lacrime i miei figli; volevo intenerirli con le mie lacrime e coi miei gemiti per farmi ascoltare.
Ma sai tu chi fu la prima dopo la mia Mamma che chiamai con le mie lacrime a Me vicino nella stessa mangiatoia, per sfogarmi in amore? Fosti tu, la piccola figlia del mio Volere. Tu eri tanto piccola che superasti la mia cara Mamma nella piccolezza, tanto che ti potetti tenere a Me vicina nella stessa mia mangiatoia e potetti versare le mie lacrime nel tuo cuore; ma queste lacrime suggellarono in te il mio Volere e ti costituivano figlia legittima della mia Volontà. Il mio Cuore ne gioì, vedendo ritornare in te, integro nella mia Volontà, ciò che nella Creazione il mio Volere aveva fatto uscire. Ciò per Me era importante ed indispensabile; al primo uscire alla luce di questo mondo, dovevo rinsaldare i diritti della Creazione e ricevere la gloria, come se la creatura mai si fosse partita dal mio Volere. Onde per te fu il primo bacio e i primi doni della mia infantile età”.
Ed io: “Amor mio, come poteva essere ciò, se io non esistevo allora?”
E Gesù: “Nella mia Volontà tutto esisteva e tutte le cose erano per Me un punto solo. Ti vedevo allora come ti vedo tuttora, e tutte le grazie che ti ho dato non sono altro che conferma di ciò che ab eterno ti era stato dato; e non solo vedevo te, ma vedevo in te la mia piccola famiglia che sarebbe vissuta nel mio Volere. Come ne fui contento! Questi mi quietavano il pianto, mi riscaldavano e, facendomi corona intorno, mi difendevano dalla perfidia delle altre creature”.
Io sono rimasta pensierosa e dubbiosa. E Gesù: “Come, ne dubiti? Io non ti ho detto niente ancora dei rapporti che ci sono tra Me e l’anima che vive nel mio Volere. Ti dico per ora che la mia Umanità viveva del continuo sbocco della Volontà Divina. Se facessi un solo respiro che non fosse animato dal Volere Divino, sarebbe come degradarmi, snobilitarmi. Ora, chi vive nella mia Volontà è la più immediata a Me e [di] tutto ciò che fece e soffrì la mia Umanità, è la prima tra tutti a ricevere i frutti e gli effetti che Essa contiene.” (Vol. 13°, 25 Dicembre 1921)
Settimo giorno – 22 Dicembre
Continua agonia e morte di Gesù nel seno di sua Madre. Fin dall’Incarnazione volle darsi a tutti, in modo irrinunciabile
Ora, mentre mi trovavo in questo stato, mi son sentita fuori di me stessa, dentro una luce purissima, ed in questa luce scorgevo la Regina Mamma ed il piccolo Bambino Gesù nel suo seno verginale. O Dio, in che stato doloroso si trovava il mio amabile Bambinello! La sua piccola Umanità era immobilizzata; stava coi piedini e manine immobili, senza il più piccolo moto. Non c’era spazio, né per poter aprire gli occhi, né per poter liberamente respirare. Era tanta l’immobilità, che sembrava morto, mentre era vivo. Pensavo tra me: chissà quanto soffre il mio Gesù in questo stato? E la diletta Mamma, nel vedere nel suo proprio seno, così immobilizzato, l’infante Gesù?
Ora, mentre ciò pensavo, il mio piccolo Bambinello, singhiozzando, mi ha detto: “Figlia mia, le pene che soffrii in questo seno verginale della mia Mamma sono incalcolabili a mente umana. Ma sai tu quale fu la prima pena che soffrii nel primo atto del mio Concepimento e che mi durò tutta la vita? La pena della morte. La mia Divinità scendeva dal Cielo pienamente felice, intangibile da qualunque pena e da qualsiasi morte. Quando vidi la mia piccola Umanità per amor delle creature soggetta alla morte e alle pene, sentii così al vivo la pena della morte, che per pura pena sarei morto davvero, se la potenza della mia Divinità non mi avesse sorretto con un prodigio, facendomi sentire la pena della morte e la continuazione della vita. Sicché per Me fu sempre morte: sentivo la morte del peccato, la morte del bene nelle creature e anche la loro morte naturale. Che duro strazio fu per Me tutta la mia vita! Io, che contenevo la vita e ne ero il padrone assoluto della stessa vita, dovevo assoggettarmi alla pena della morte. Non vedi tu la mia piccola Umanità immobile e morente nel seno della mia cara Madre? E non senti tu in te stessa quanto è dura e straziante la pena di sentirsi morire e non morire? Figlia mia, è il tuo vivere nella mia Volontà che ti fa parte della continua morte della mia Umanità”.
Onde ho passato quasi tutta la mattina vicino al mio Gesù nel seno della mia Mamma e lo vedevo che, mentre stava in atto di morire, riprendeva [vita], per abbandonarsi di nuovo a morire. Che pena vedere in quello stato l’Infante Gesù!
Dopo ciò, nella notte stavo pensando all’atto quando il dolce Bambinello uscì dal seno materno per nascere in mezzo a noi. La mia povera mente si perdeva in un mistero sì profondo e tutto amore. E il mio dolce Gesù, movendosi nel mio interno, ha messo fuori le sue piccole manine per abbracciarmi e mi ha detto:
“Figlia mia, l’atto del mio nascere fu l’atto più solenne di tutta la Creazione. Cieli e terra si sentivano sprofondare nella più profonda adorazione alla vista della mia piccola Umanità, che teneva come murata la mia Divinità. Sicché nell’atto del mio nascere ci fu un atto di silenzio e di profonda adorazione e preghiera. Pregò la mia Mamma e restò rapita per la forza del prodigio che da lei usciva, pregò San Giuseppe, pregarono gli angeli, e la creazione tutta sentiva la forza dell’amore della mia potenza creatrice rinnovato su di essa. Tutti si sentivano onorati e ricevevano il vero onore, che Colui che li aveva creati doveva servirsi di loro per ciò che occorreva alla sua Umanità. Si sentì onorato il sole, nel dover dare la sua luce e calore al suo Creatore; riconosceva Colui che lo aveva creato, il suo vero Padrone, e gli faceva festa e onore col dargli la sua luce. Si sentì onorata la terra, quando mi sentì giacente in una mangiatoia; si sentì toccata dalle mie tenere membra e tripudiò di gioia con segni prodigiosi. Tutta la Creazione, [tutti gli esseri creati] vedevano il loro vero Re e Padrone in mezzo a loro e sentendosi onorati ognuno voleva prestarmi il suo ufficio. L’acqua voleva dissetarmi, gli uccelli coi loro trilli e gorgheggi volevano ricrearmi, il vento voleva carezzarmi, l’aria voleva baciarmi…, tutti volevano darmi il loro innocente tributo. Solo gli uomini ingrati, ad onta che tutti sentirono in loro una cosa insolita, una gioia, una forza potente, furono restii e, soffocando tutto, non si mossero. E ad onta che li chiamavo con le lacrime, coi gemiti e singhiozzi, non si mossero, eccettuati alcuni pochi pastori. Eppure era per l’uomo che venivo sulla terra, venivo per darmi a lui, per salvarlo e per riportarmelo nella mia Patria Celeste. Quindi ero tutt’occhio per vedere se mi veniva innanzi per ricevere il gran dono della mia vita divina ed umana.
Sicché l’Incarnazione non fu altro che un darmi in balia della creatura. Nell’Incarnazione mi diedi in balia della mia cara Mamma; nel nascere si aggiunse San Giuseppe, a cui feci dono della mia vita e, siccome le mie opere sono eterne e non sono soggette a finire, questa Divinità, questo Verbo che scese dal Cielo, non si ritirò più dalla terra per avere occasione di darsi continuamente a tutte le creature. Finché vissi mi diedi svelatamente, e poi, poche ore prima di morire, feci il gran prodigio di lasciarmi Sacramentato, perché chiunque mi volesse potesse ricevere il gran dono della mia vita. Non badai né alle offese che mi avrebbero fatto, né ai rifiuti di non volermi ricevere. Dissi tra Me: mi sono dato, non voglio più ritirarmi, mi facessero pure quello che vogliono, ma sarò sempre di loro e a loro disposizione.
Figlia, questa è la natura del vero amore, l’operare da Dio: la fermezza e il non ritirarsi, a costo di qualunque sacrificio. Questa fermezza nelle mie opere è la mia vittoria e la più grande mia gloria; ed è questo il segno che la creatura opera per Dio, la fermezza. L’anima non guarda in faccia a nessuno, né alle pene, né a se stessa, né alla sua stima, né alle creature, ad onta che le costi la propria vita; lei guarda solo Iddio, per cui si è prefissa di operare per amore suo e si sente vittoriosa di mettere il sacrificio della sua vita per amor suo. Il non essere fermo è della natura umana e dell’operare umanamente. Il non essere fermo è l’operare delle passioni e con passione. La mutabilità è debolezza e viltà e non è della natura del vero amore; perciò la fermezza deve essere la guida di operare per Me. Perciò nelle mie opere non mi cambio mai; siano quello che siano gli eventi, fatta una volta è fatta per sempre”. (Vol. 17°, 24 Dicembre 1924)
Ottavo giorno – 23 Dicembre
Gesù si sarebbe incarnato lo stesso, se non avesse dovuto redimerci, ma sarebbe venuto glorioso come Re e capo della sua famiglia
“Figlia piccola del mio Volere Divino, tu devi sapere che sono diritti assoluti del mio «Fiat» Divino, di tenere il primato su ciascun atto della creatura, e chi gli nega il primato gli toglie i suoi diritti divini che gli sono dovuti per giustizia, perché Creatore del volere umano. Chi può dirti, figlia mia, quanto male può fare una creatura quando giunge a sottrarsi alla Volontà del suo Creatore? Vedi, bastò un atto di sottrazione del primo uomo alla nostra Volontà Divina, che giunse a cambiare la sorte delle umane generazioni, non solo, ma la stessa sorte della nostra Divina Volontà.
Se Adamo non avesse peccato, l’Eterno Verbo, che è la stessa Volontà del Padre Celeste[3] , sarebbe venuto lo stesso sulla terra glorioso, trionfante e dominatore, accompagnato visibilmente dal suo esercito angelico, che tutti dovevano vedere, e con lo splendore della sua gloria avrebbe affascinato tutti e attirato tutti a sé con la sua bellezza, coronato da re e con lo scettro del comando, per essere re e capo dell’umana famiglia, in modo da darle il grande onore di poter dire: «abbiamo un re uomo e Dio»[4]. Molto più che il tuo Gesù non [sarebbe] sceso dal Cielo per trovare l’uomo malato, perché se non si fosse sottratto alla mia Volontà Divina, non sarebbero esistite malattie né di anima, né di corpo, perché fu l’umana volontà che quasi affogò di pene la povera creatura. Il «Fiat» era intangibile da ogni pena e tale doveva essere l’uomo. Quindi Io dovevo venire a trovare l’uomo felice, santo e con la pienezza dei beni con cui l’avevo creato.
Invece cambiò la nostra sorte, perché volle fare la sua volontà, e siccome era decretato che Io dovevo scendere sulla terra – e quando la Divinità decreta non c’è chi la sposti– , cambiai solo modo e aspetto, ma vi scesi sotto spoglie umilissime, povero, senza nessun apparato di gloria, sofferente, piangendo e carico di tutte le miserie e pene dell’uomo. La volontà umana mi fece venire a trovare l’uomo infelice, cieco, sordo e muto, pieno di tutte le miserie, ed Io, per guarirlo, dovevo prenderle su di Me; e per non incutere spavento, dovevo mostrarmi come uno di loro, per affratellarli e dar loro le medicine e i rimedi che ci volevano. Sicché l’umano volere ha il potere di rendere [l’uomo] felice o infelice, santo o peccatore, sano o malato.
Vedi dunque: se l’anima si decide a fare sempre, sempre, la mia Divina Volontà e a vivere in Essa, cambierà la sua sorte e la mia Divina Volontà si slancerà sulla creatura, la farà sua preda e dandole il bacio della Creazione cambierà aspetto e modo, e stringendola al suo seno le dirà: «mettiamo tutto da parte, per te e per Me sono ritornati i primi tempi della Creazione, tutto sarà felicità tra te e Me; vivrai in casa nostra, come figlia nostra, nell’abbondanza dei beni del tuo Creatore».
Senti, mia piccola neonata della mia Divina Volontà, se l’uomo non avesse peccato, [se] non si fosse sottratto alla mia Divina Volontà, Io sarei venuto sulla terra, ma sai come? Pieno di maestà, come quando risuscitai dalla morte, e sebbene avessi la mia Umanità simile all’uomo, unita all’Eterno Verbo, ma con quale diversità [sarei venuto]? La mia Umanità risuscitata era glorificata, vestita di luce, non soggetta né a patire, né a morire. Ero il Divin Trionfatore. Invece la mia Umanità prima di morire era soggetta, sebbene volontariamente, a tutte le pene, anzi fui l’uomo dei dolori. E siccome l’uomo aveva ancora gli occhi abbacinati dall’umano volere e quindi [era] ancora malato, pochi furono quelli che mi videro risuscitato, [il] che servì per confermare la mia Risurrezione. Quindi salì al Cielo per dare tempo all’uomo di prendere i rimedi e le medicine, affinché guarisse e si disponesse a conoscere la mia Divina Volontà, per vivere non della sua, ma della Mia, e così potrò farmi vedere pieno di maestà e di gloria in mezzo ai figli del mio Regno. Perciò la mia Risurrezione è la conferma del «Fiat Voluntas tua» come in Cielo così in terra. Dopo un sì lungo dolore sofferto dalla mia Divina Volontà per tanti secoli, di non avere il suo regno sulla terra, il suo assoluto dominio, era giusto che la mia Umanità mettesse in salvo i suoi diritti divini e realizzasse il mio e il suo scopo primiero di formare il suo regno in mezzo alle creature.
Oltre a ciò tu devi sapere – per maggiormente confermarti come cambiò la volontà umana la sua sorte e quella della Divina Volontà a suo riguardo– che in tutta la storia del mondo solo due hanno vissuto di Volontà Divina senza fare mai la loro: la Sovrana Regina ed Io. E la distanza, la diversità tra noi e le altre creature è infinita, tanto che neppure i nostri corpi rimasero sulla terra; erano serviti come reggia al «Fiat» Divino ed Esso si sentiva inseparabile dai nostri corpi, e perciò reclamò e con la sua forza imperante rapì i nostri corpi insieme con le anime nostre nella sua Patria Celeste. E il perché di tutto ciò? Tutta la ragione è perché mai la nostra volontà umana ebbe un atto di vita, ma tutto il dominio e il campo d’azione fu solo della mia Divina Volontà. La sua potenza è infinita, il suo amore è insuperabile.” (Vol. 25°, 31 Marzo 1929)
Ultimo giorno – 24 Dicembre
Il prodigio della Nascita di Gesù. Fin dalla sua Incarnazione e dalla sua Nascita Gesù visse crocifisso
Trovandomi nel solito mio stato, mi sono sentita fuori di me stessa. Dopo aver girato mi sono trovata dentro di una spelonca e ho visto la Regina Mamma che stava nell’atto di dare alla luce il Bambinello Gesù. Che stupendo prodigio! Mi pareva che tanto la Madre quanto il Figlio fossero trasmutati in luce purissima, ma in quella luce si scorgeva benissimo la natura umana di Gesù, che conteneva in sé la Divinità, che le serviva come di velo per coprire la Divinità, in modo che squarciando il velo della natura umana era Dio e coperto con quel velo era uomo, ed ecco il prodigio dei prodigi: Dio ed uomo, uomo e Dio, che senza lasciare il Padre e lo Spirito Santo viene ad abitare con noi e prende carne umana, perché il vero amore non si disunisce giammai.
Ora, mi è parso che la Madre e il Figlio in quel felicissimo istante sono rimasti come spiritualizzati, e senza il minimo intoppo Gesù è uscito dal seno materno, traboccando entrambi in un eccesso d’amore, ossia, trasformati in Luce quei santissimi corpi, senza il minimo impedimento, Gesù Luce è uscito da dentro la luce della Madre, restando sani ed intatti sia l’Uno che l’Altra, ritornando poi allo stato naturale. Ma chi può dire la bellezza del Bambinello, che in quel momento della sua nascita trasfondeva anche esternamente i raggi della Divinità? Chi può dire la bellezza della Madre, che ne restava tutta assorbita in quei raggi Divini?
E san Giuseppe? Mi pareva che non fosse presente nell’atto del parto, ma che se ne stava ad un’altro cantone della spelonca, tutto assorto in quel profondo Mistero, e se non vide cogli occhi del corpo, vide benissimo con gli occhi dell’anima, perché se ne stava rapito in estasi sublime.
Ora, nell’atto che il Bambinello uscì alla luce, io avrei voluto volare per prenderlo tra le mie braccia, ma gli angeli me lo impedirono, dicendomi che toccava alla Madre l’onore di prenderlo per prima. Onde la Vergine Santissima, come scossa, è ritornata in sé e dalle mani di un angelo ha ricevuto il Figlio nelle braccia, lo ha stretto tanto forte nella foga dell’amore in cui si trovava, che pareva che volesse inviscerarlo di nuovo; poi, volendo dare uno sfogo al suo ardente amore, lo ha messo a succhiare alle sue mammelle. In questo mentre io me ne stavo tutta annichilita, aspettando ad essere chiamata, per non ricevere un altro rimprovero dagli angeli. Onde la Regina mi ha detto: “Vieni, vieni a prendere il tuo diletto e godilo anche tu, sfoga con Lui il tuo amore”.
E dicendo così, io mi sono avvicinata e la Mamma me lo ha dato in braccio. Chi può dire il mio contento, i baci, gli stringimenti, le tenerezze?
Dopo che mi sono sfogata un poco, gli ho detto: “Diletto mio, Tu hai succhiato il latte dalla nostra Mamma, fai a me parte”.
E Lui, tutto condiscendendo, dalla sua bocca ha versato parte di quel latte nella mia e dopo mi ha detto: “Diletta mia, Io fui concepito unito al dolore, nacqui al dolore e morii nel dolore, e coi tre chiodi che mi crocifissero, inchiodai le tre potenze: intelletto, memoria e volontà, di quelle anime che bramano di amarmi, facendo loro restare attirate tutte a me, perché la colpa le aveva rese inferme e disperse dal loro Creatore, senza nessun freno”.
E mentre ciò diceva, ha dato uno sguardo al mondo e ha cominciato a piangere le sue miserie. Io, vedendolo piangere, ho detto: “Amabile Bambino, non funestare col tuo pianto una notte sì lieta a chi ti ama. Invece di dare sfogo al pianto, diamo sfogo al canto”.
E così dicendo, ho cominciato a cantare; Gesù si è distratto sentendomi cantare e ha cessato dal piangere, e terminando il mio verso ha cantato il suo, con una voce tanto forte ed armoniosa, che tutte le altre voci scomparivano alla sua voce dolcissima. Dopo ciò, ho pregato il Bambino Gesù per il mio Confessore, per quelli che mi appartengono ed infine per tutti, e Lui pareva tutto condiscendente. In questo mentre mi è scomparso ed io sono ritornata in me stessa. (Vol. 4°, 25 Dicembre 1900)
Continuando a vedere il santo Bambino, vedevo la Regina Madre da una parte e San Giuseppe dall’altra, che stavano adorando profondamente l’Infante divino. Stando tutti intenti in Lui, mi pareva che la continua presenza del Bambinello li teneva assorti in estasi continua, e se operavano era un prodigio che il Signore operava in loro, altrimenti sarebbero rimasti immobili, senza potere esternamente accudire ai loro doveri. Anch’io ho fatto la mia adorazione e mi sono trovata in me stessa. (Vol. 4°, 26 Dicembre 1900)
“La fede nel concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte dei non-credenti, giudei e pagani (…) Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in quel «nesso che lega tra loro i vari misteri», nell’insieme dei Misteri di Cristo, dalla sua Incarnazione alla sua Pasqua.
Sant’Ignazio di Antiochia già testimonia tale legame: «Il principe di questo mondo ha ignorato la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre Misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio».
MARIA «SEMPRE VERGINE»
L’approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a confessare la verginità reale e perpetua di Maria anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo. Infatti la nascita di Cristo non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l’ha consacrata. La liturgia della Chiesa celebra Maria come la «Aeiparthenos», «sempre Vergine».” (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 498 e 499)
Note:
[1] – “Nocella”: (Dialettale) “Nocciola”. (Biologia) “Tessuto interno dell’ovulo che dà origine al sacco embrionale”.
[2] – Fin dall’Incarnazione, portando in Sé tutta l’umanità peccatrice, Gesù iniziò la Redenzione e la sua lunga Via Crucis.
[3] – Prima ha detto: “la mia Divina Volontà s’incarnò per venire a rintracciare l’uomo smarrito. Fu proprio Essa, perché Verbo significa parola e la nostra parola è il «Fiat», che come nella Creazione disse e creò, così nella Redenzione volle e s’incarnò” (22 Marzo 1929). Il Verbo è Gesù (Gv 1,14) in quanto “Parola” che esprime la Volontà del Padre, quindi Sua manifestazione perfetta (“Chi vede Me vede il Padre”: Gv 14,9), della stessa Natura del Padre, ma da Lui distinto come persona (Sap 7,25-26); la Volontà del Padre è anche la Volontà del Figlio, per natura.
[4] – L’Incarnazione del Verbo, Gesù Cristo, ha tre finalità: 1°) Per presiedere la Creazione: “Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui” (Col 1,15-17). “…Il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del Cielo come quelle della terra” (Ef 1,10). 2°) Per compiere la Redenzione: “Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e di questi il primo sono io” (1.Tim 1,15). “Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1.Gv 3,8). 3°) E per avere il suo Regno: “Allora Pilato Gli disse: Dunque, Tu sei Re?. Rispose Gesù: Tu lo dici, Io sono Re. Per questo sono nato, per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Lo aveva detto l’Angelo a Maria: “Il Signore Dio Gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo Regno non avrà fine” (Lc 1,32-33).